Nonostante il Navile non sia soggetto a piene frequenti, la sua sistemazione è stata un’azione chiave per diminuire il rischio idrogeologico sul territorio. Per capire il motivo, dobbiamo guardare alla storia di Bologna
In queste settimane stanno terminando i lavori di riqualificazione del Canale Navile, iniziati a febbraio 2020 e considerati una delle azioni chiave per ridurre il rischio idrogeologico sul territorio di Bologna, in base al Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (PAESC). I lavori hanno interessato il tratto urbano del Canale – circa 4 chilometri da Via Bovi Campeggi a Corticella – e sono stati realizzati grazie a un finanziamento ministeriale di un 1 milione e 500 mila euro, che il Comune di Bologna ha richiesto e a cui ha contribuito – per accedervi – con un co-finanziamento di 10 mila euro. Questi fondi, però, non sono stati impiegati direttamente dal Comune, ma sono andati alla Regione (che ha la competenza sul Canale), che ha poi affidato i lavori al Consorzio della Bonifica Renana come soggetto esecutore.
“È un lavoro importante, che non veniva fatto da decenni”, spiega Roberto Diolaiti, Direttore del Settore Ambiente e Verde del Comune di Bologna. “I lavori si sono sostanziati in una pulizia del fondo del canale, con la funzione di depurazione, per eliminare i fanghi che erano lì da tempo. Ma anche di riprofilazione idraulica: contestualmente alla pulizia del fondo è stato riprofilato l’alveo del canale, in modo da favorire il deflusso delle acque. Sono poi stati sistemati anche alcuni dei tratti vicini ai sostegni che dovrebbero consentire un migliore governo delle acque, per evitare esondazioni”.
Prevenire le esondazioni
Nonostante il Canale Navile non sia soggetto a piene frequenti, infatti, le sue caratteristiche lo rendono una via d’acqua da sorvegliare con attenzione: nel suo alveo infatti vengono convogliate le acque di piccoli canali artificiali e scoli che passano, in gran parte sotterranei, per il centro della città di Bologna, ma non solo. Nel Navile arrivano anche le acque del torrente Aposa – l’unico corso d’acqua naturale che passa nel centro della città – che raccoglie le acque dai colli bolognesi. Nel caso di un forte temporale che si sposta dalla collina alla città, quindi, nell’Aposa – e poi nel Navile – si può convogliare una grande quantità d’acqua. E se le esondazioni del Canale non sono frequenti, l’obiettivo del PAESC è proprio quello di preparare la città di Bologna agli effetti futuri dei cambiamenti climatici: nei prossimi decenni, le piogge torrenziali improvvise potrebbero avvenire più spesso. “Alcuni di questi eventi, che fino a qualche anno fa si definivano eccezionali, in realtà si ripetono nel tempo con una certa e preoccupante ciclicità”, spiega Diolaiti. “Tant’è vero che adesso li abbiamo declassati a non convenzionali, sperando di non doverli definire normali. Queste piogge improvvise con una grande quantità di acqua mettono alla prova il nostro sistema idraulico”.
Il territorio di Bologna non è di facile gestione, da questo punto di vista. Le porzioni collinari sono particolarmente propense al dissesto idrogeologico. La diffusa cementificazione delle aree urbane impermeabilizza il suolo, che quindi in caso di pioggia non trattiene l’acqua. I corsi d’acqua, irrigiditi e in gran parte tombinati, non hanno spazio in cui far defluire eventuali flussi abbondanti senza causare danni. Rinaturalizzare i fiumi e prepararsi a gestire precipitazioni più abbondanti e improvvise, quindi, è necessario per evitare i danni nei prossimi anni, in previsione di stagioni in cui gli eventi non convenzionali potrebbero presentarsi con maggiore frequenza. Continua Diolaiti: “Adesso dovrà essere garantita dalla Regione Emilia-Romagna – cioè da chi è titolare di quell’opera idraulica – una adeguata manutenzione, che consenta appunto di mantenere i lavori fatti e di intervenire solo laddove si verificano dei problemi puntuali”.
Il Navile, via d’acqua
Tuttavia non è sempre stato così. Il ruolo critico del Navile come corso in cui si incanalano le acque di Bologna è nato in un momento storico in cui la città aveva un aspetto molto diverso. Il corso attuale del Navile venne scavato attorno al 1200, 800 anni fa, per collegare Bologna all’Adriatico tramite una rete di canali navigabili, in cui chiatte dal fondo piatto venivano trainate da cavalli. Questi corsi artificiali, però, venivano usati anche per alimentare i mulini che avrebbero poi stimolato lo sviluppo industriale della città.
“Il Navile è stato uno degli elementi che hanno portato la ricchezza a Bologna. Per secoli ha unito Bologna al resto del mondo: era la stazione ferroviaria, l’aeroporto, il porto”, racconta Gabriele Bernardi, Presidente dell’Associazione Vitruvio e membro del Comitato Salviamo il Navile. Con i gruppi di cui fa parte, Bernardi organizza visite e spettacoli per raccontare la storia del territorio, e ha seguito da vicino i lavori di riqualificazione del canale. “L’acqua veniva raccolta in modo molto intelligente in centro storico da est e da ovest, in un reticolo incredibile di canali oggi praticamente tutti sotterranei, e poi usata per produrre energia”.
Per assicurare la navigazione e garantire una produzione costante di energia, però, era necessario che la portata dei canali fosse costante per gran parte dell’anno: oggi sembra una sfida, in un territorio in cui l’unico corso d’acqua naturale è un torrente (l’Aposa, appunto), e che come tale è caratterizzato da una portata irregolare durante l’anno. Senza la cementificazione che vediamo oggi, però, il suolo urbano agiva in modo completamente diverso nella regolazione delle acque. “Il territorio urbano tratteneva l’acqua come una spugna”, continua Bernardi, “non come ora. Avendo pavimentato, l’acqua scorre via subito e viene raccolta nelle fognature, in quelli che erano corsi d’acqua e canali che non erano stati progettati per questo. Il terreno rilasciava acqua in modo più continuativo, per cui i torrenti avevano un carattere meno irregolare. Quindi aveva senso fare un investimento enorme per scavare canali che consentivano la navigazione per un numero importante di mesi durante l’anno, per collegare Bologna al mare”. Il Navile era lo snodo che collegava Bologna a Venezia e, da lì, al resto del mondo. La sua importanza come via di comunicazione sarebbe decaduta solo all’inizio del Novecento, quando la ferrovia lo soppiantò come via di trasporto.
Uno scorcio del corso del Navile. Foto di Margherita Caprili.
La qualità dell’acqua
Se la riprofilazione dell’alveo del Navile aiuterà a gestire le portate d’acqua eccezionali, la pulizia del fondo potrebbe essere solo il primo passo per garantire una migliore qualità dell’acqua nel Canale. Nel corso dei lavori è stata rimossa una quantità impressionante di rifiuti, ma è anche emersa con più chiarezza l’entità del problema degli scarichi abusivi di acque nere non depurate nei canali bolognesi. Nel 2021, per esempio, il Consorzio della Chiusa di Casalecchio e del Canale di Reno ha individuato 40 scarichi abusivi nel Canale delle Moline, a monte del torrente Aposa. Il problema dello scarico di acque fognarie nei canali sotterranei era già emerso dal Piano di Adattamento BLUEAP di Bologna del 2017 (pagg. 45-51) ed è stato in parte affrontato dal Comune con gli interventi sulla Canaletta Fiaccacollo, in cui erano state individuate 400 “immissioni irregolari”.
Gabriele Bernardi e il Comitato Salviamo il Navile pensano che il Comune dovrebbe porsi come soggetto terzo per garantire che la qualità delle acque nei canali sia monitorata e migliorata. La gestione dei corsi d’acqua, infatti, è un labirinto di competenze tra Hera, Regione e consorzi. “Adesso che sono stati puliti gli argini [del Navile], abbiamo mappato 108 scarichi diretti abusivi nel canale solo nel tratto interessato dai lavori, cioè il tratto nel Comune di Bologna, tra via Bovi Campeggi fino al confine con Castel Maggiore”, racconta Bernardi. “Di questi, alcuni sembrano non più utilizzati, altri sono certamente in uso e altri ancora non siamo stati in grado di valutare. Ora si tratta di indagare e analizzare la provenienza degli scarichi”. Altrimenti, si rischia di vanificare il lavoro di pulizia già fatto. Assieme ad associazioni ambientaliste e ad enti del territorio, tra cui la Croce Rossa e il Museo del Patrimonio Industriale (che ha sede proprio lungo il Canale), il Comitato Salviamo il Navile ha inviato al Comune una “Proposta di cittadinanza attiva” per la riapertura delle vie d’acqua sotterranee al pubblico, in modo che diversi gruppi della società civile possano essere coinvolti nella mappatura e nel monitoraggio degli scarichi sotterranei.
Un problema che rimane aperto anche secondo Roberto Diolaiti e il Settore Ambiente del Comune, che stanno organizzando un tavolo di lavoro sull’argomento. “Non sono attività che ci pertengono, ma abbiamo dato la nostra disponibilità. La volontà è quella di riuscire a mettere in evidenza tutte le immissioni non autorizzate che continuano a scaricare nel Navile e nei tratti interrati dei canali in città, che in parte sono già stati avviati negli anni scorsi sul collettore Fiaccacollo, nel Navile e nel Canale di Reno. L’obiettivo è cercare di limitare e potenzialmente azzerare gli scarichi abusivi, in modo da far sì che la qualità dell’acqua migliori decisamente”, spiega Diolaiti. “Una prova evidente che dimostra il lavoro fatto, però, è che fino ad alcuni anni fa quando il Navile veniva messo in secca – per esempio per interrompere il deflusso delle acque dal Canale di Reno – c’era una puzza micidiale. Adesso questi effluvi maleodoranti sono meno sensibili”.
di Anna Violato – formicablu
Anna Violato è una comunicatrice della scienza freelance che vive a Bologna. Collabora con RADAR Magazine, testata online che racconta i cambiamenti del clima e dell’ambiente, con lo studio di comunicazione scientifica formicablu e con la casa editrice Zanichelli.