Quanto siamo disposti a vivere nell’emergenza? Perché di questo si tratta: tutto quello che riguarda i cambiamenti climatici si configura come un’emergenza, anzi una serie di emergenze che prendono volti multiformi. Piogge intense e violente, periodi prolungati di caldo al di fuori della norma, le conseguenze sui sistemi sanitari, sull’economia, sul cibo, sulle risorse idriche, sul dissesto geo-idrologico. Ogni volta un record, ogni volta un’eccezione rispetto alla norma, ogni volta una situazione eccezionale a cui porre rimedio. Ora, non si può generalizzare, per dire che un singolo evento sia causato dai cambiamenti climatici occorrono delle valutazioni scientifiche molto approfondite, ma certamente possiamo dire che l’aumento di intensità e frequenza di questi eventi, con le conseguenze che portano sulla vita delle persone, sono legati a doppio filo ai cambiamenti climatici.
Emergenza, sì, perché tutti gli scenari che si costruiscono per capire cosa dobbiamo aspettarci dal clima del futuro, ci dicono che dobbiamo agire il prima possibile per evitare che gli impatti siano particolarmente gravi e particolarmente costosi in termini di benessere, di sicurezza e in termini finanziari.
Agire il prima possibile per arginare il problema, per ridurre i cambiamenti climatici riducendo la presenza in atmosfera di gas a effetto serra in eccesso, eliminandoli dai processi produttivi e dalle abitudini di consumo, investendo in tecnologie, ricerca e innovazione. E agire il prima possibile per essere pronti a gestire al meglio gli impatti dei cambiamenti climatici che sono in corso, fare in modo che le città non si allaghino, che l’acqua non manchi, che la gestione delle risorse naturali non subisca contraccolpi negativi.
Quindi emergenza, sì, ma per conoscerla, affrontarla e superarla.
Se si usa questa parola, lo si fa anche per evidenziare che c’è una buona notizia: le scienze del clima producono informazioni sempre più accurate, dettagliate e affidabili sia sui cambiamenti climatici, sui rischi che vi sono associati e sulle soluzioni da progettare e utilizzare a tutte le scale geografiche delle nostre vite, da quella planetaria fino al nostro comune di residenza, sia nei settori delle imprese private che in quelli di competenza delle pubbliche amministrazioni. Sono informazioni che ci consentono di percorrere una strada di uscita dall’emergenza, di considerare il clima come un protagonista, un attore che interagisce con le nostre vite e che, a sua volta, è modificato dal modo in cui viviamo, produciamo e consumiamo. La conoscenza scientifica è un patrimonio che abbiamo a disposizione per guardare alle innovazioni necessarie, agli investimenti utili, alla direzione da prendere per fronteggiare l’emergenza e trovare la via di uscita.
Che clima farà in Italia – un report sugli scenari di rischio
A fine settembre è uscito un rapporto del CMCC, dal titolo Scenari climatici – il clima atteso per il futuro dell’Italia, che per la prima volta fa un’analisi integrata dei rischi legati ai cambiamenti climatici sul sistema socio-economico del nostro paese.
È un lavoro che ha coinvolto oltre 30 ricercatori coordinati da Donatella Spano e Valentina Mereu, una ricerca multidisciplinare che ci parla del clima atteso in Italia per i prossimi decenni in relazione a come cambieranno le concentrazioni di gas serra in atmosfera. A partire dagli scenari del futuro, sono stati applicati degli indicatori di rischio per poi elaborare un’analisi focalizzata su specifici settori come l’ambiente urbano, il dissesto geo-idrologico, le risorse idriche, l’agricoltura, gli incendi. Inoltre, lo studio contiene una raccolta di valutazioni sui costi economico-finanziari dei cambiamenti climatici e sulle risorse finanziarie che sono disponibili per affrontare il problema e, come si diceva, imboccare la strada di uscita dall’emergenza.
I risultati contengono informazioni interessanti. Al di là di specifici numeri che vi sono dettagliati (chi fosse interessato può attingere al rapporto integrale, all’executive summary e alle infografiche disponibili sul sito dedicato) c’è un messaggio rilevante che emerge in maniera molto chiara: i cambiamenti climatici sono un acceleratore di rischio, ossia intervengono ad acuire e peggiorare situazioni di rischio già esistenti nel nostro Paese.
Per esempio, un’ondata di calore, e dunque un lungo periodo di giorni consecutivi particolarmente caldi, comporta ulteriori problemi alle difficoltà già esistenti del sistema sanitario: accrescono l’afflusso e la richiesta di risorse sanitarie soprattutto da parte delle fasce più deboli e fragili delle popolazioni, come gli anziani, malati, bambini e fasce di reddito più basso. Nel momento in cui i cambiamenti climatici si intensificano e moltiplicano eventi simili, questo tipo di impatto si amplifica su una struttura sanitaria che è già di per sé in difficoltà. Le nostre città non sono state costruite in maniera tale da affrontare o da assorbire ondate di calore che in ambiente urbano hanno impatti più intensi e severi che altrove. Forse il messaggio risulta più chiaro con le piogge intense e violente e il loro contributo ad alluvioni e dissesto: avere un maggior numero di questi eventi vuol dire moltiplicare il rischio di un territorio di per sé particolarmente vulnerabile.
Il punto è che avendo a disposizione queste informazioni che derivano ricerca scientifica avanzata, abbiamo la possibilità di immaginare, pianificare, costruire, e dar vita ai nostri territori in una maniera che sappia rispondere a questo tipo di problemi. Il messaggio chiaro che il rapporto vuole lanciare è che il percorso di uscita dall’emergenza, è un percorso di sviluppo sostenibile, un percorso di crescita conveniente per la società nel suo complesso. Non si tratta solo di correre ai ripari, ma al contrario di pianificare una strategia di crescita e sviluppo a beneficio della società. Dobbiamo studiare un modo diverso di vivere.
Dalla conoscenza scientifica emerge che, se parliamo di sviluppo e crescita, la via della sostenibilità è l’unica capace di garantire benessere alla società nel suo complesso, oggi e per le generazioni future. Sappiamo che gli impatti dei cambiamenti climatici acuiscono le differenze sia tra fasce di reddito diverse che tra regioni geografiche diverse e sarà quindi necessario capire i diversi impatti a seconda dei luoghi.
Ogni città o regione ha la possibilità avere una fotografia della propria specifica realtà per studiare, analizzare e capire gli scenari climatici, gli impatti attesi e come possono influire a livello locale. Da qui si possono realizzare strategie, piani e soluzioni specifiche per una specifica situazione. La pianificazione territoriale è essenziale ed importantissima proprio perché i cambiamenti climatici sono un problema globale con impatti locali molto specifici e diversi da città a città. Addirittura, nella stessa provincia comuni diversi possono avere problemi diversi e quindi trovarsi nella condizione di individuare soluzioni diverse.
La lotta all’emergenza climatica non può prescindere dalla realtà locale perché la vita di tutti i giorni passa da lì, quella è la casa di tutti noi, e la nostra vita va organizzata dentro comunità locali. Quelle stesse comunità che hanno numerosi strumenti a disposizione, sia dal punto di vista delle risorse economico finanziarie che possono essere catalizzate dai piani di adattamento, sia per la conoscenza diretta dei problemi che vanno affrontati. C’è un punto chiave che dobbiamo capire. Il rischio da cambiamenti climatici si compone di tre elementi fondamentali: gli eventi pericolosi (che riusciamo a conoscere meglio anche con gli scenari climatici), l’esposizione di un luogo specifico agli eventi, e infine la vulnerabilità e cioè quanto questo luogo è pronto o meno ad affrontare questi impatti. Dalla combinazione di questi di questi tre elementi nasce il rischio. Le città e gli enti locali sono le realtà che possono meglio di tutti affrontare e analizzare il rapporto tra questi tre elementi e riuscire a trovare le soluzioni migliori.
La partecipazione di tutti gli attori locali è fondamentale
Tutte le analisi fatte per ragionare e definire le strategie di adattamento, le linee guida e i piani di adattamento ai cambiamenti climatici, i documenti che includono le azioni da intraprendere a tutti i livelli, da quello europeo a quello nazionale e poi comunale, mostrano che non si può prescindere dal coinvolgimento di tutti i portatori di interesse, i cosiddetti stakeholders. Tutti siamo coinvolti, in prima persona, sia dal punto di vista delle azioni che siamo chiamati a mettere in atto che da quello delle conseguenze vissute in termini di benefici a lungo termine e di costi nell’immediato.
Nel lungo periodo quindi credo che sia impensabile poter immaginare un piano del genere senza il coinvolgimento sia del mondo delle imprese sia della della società civile sia delle persone, dei cittadini. Dentro questo processo, le amministrazioni locali, quelli che prendono le decisioni pubbliche, sono un attore con una doppia funzione. Partecipano, al pari degli altri attori, portando avanti i propri interessi perché ovviamente anche la pubblica amministrazione ha degli interessi da far valere nell’interesse pubblico. Ma partecipano doppiamente perché poi sono tenuti a tirare le somme, a mettere nero su bianco le azioni da intraprendere. Senza partecipazione non c’è lotta efficace all’emergenza climatica.
Mauro Buonocore, direttore comunicazione Fondazione Cmcc
La Fondazione CMCC (Centro Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) è un centro di ricerca italiano che fa ricerca internazionale sulle interazioni tra i cambiamenti climatici e la società, l’economia e l’ambiente.