Un progetto coordinato dall’Università di Bologna ha sperimentato un nuovo modello di gestione sostenibile delle vaschette alimentari di plastica. Coinvolgendo tutta la filiera, dal produttore della vaschetta al (volenteroso) consumatore
La plastica oggi è ovunque: negli imballaggi dei cibi che compriamo, in giocattoli e dispositivi elettronici, nei mobili e nei nostri vestiti. E se le direttive europee degli ultimi anni mirano a fare dell’Europa una zona senza plastica “single use” (monouso, o usa e getta) per promuovere alternative più sostenibili, è fondamentale anche capire come gestire in modo più sostenibile ed efficiente tutta la plastica di cui – almeno per il momento – non possiamo fare a meno.
Il progetto Ricircola – Plastic Waste Free, che ha da poco presentato i suoi risultati finali, ha sperimentato il metodo del “vuoto a rendere” per migliorare la gestione di alcuni punti critici nella filiera delle vaschette di plastica per alimenti, cioè la loro dispersione nell’ambiente come rifiuto e la difficoltà di recuperarne nuove materie prime attraverso il riciclo.
Le vaschette in PET di Ricircola sono state usate come imballaggio per carne di pollo Amadori e uva Apofruit in tre punti vendita Conad (La Filanda di Faenza, Case Finali di Cesena e Pinarella di Cervia), in cui il progetto era presente con un banchetto presidiato, da cui ricercatori e facilitatori spiegavano il progetto a chi visitava il supermercato. Riportando gli imballaggi al punto vendita dopo l’uso, i consumatori ricevevano uno sconto di 1€ ogni 5 vaschette. Ogni vaschetta era dotata di un sensore RFID, simile a quello delle carte contactless, in modo da poter essere riconosciuta dai ricercatori. Gli imballaggi sono stati poi consegnati a Hera, che si è occupata del loro riciclo.
Riprogettare gli imballaggi, pensando a tutta la filiera
Il progetto nasce da un’idea del Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale Fonti Rinnovabili Ambiente, Mare ed Energia (CIRI FRAME) dell’Università di Bologna che ha voluto coinvolgere attori diversi di un settore in cui la plastica è onnipresente: gli imballaggi per alimenti. “Abbiamo deciso di coinvolgere tutta la filiera, invece che una singola azienda. Abbiamo quindi coinvolto il gruppo ILIP come produttore delle vaschette, e Amadori e Apofruit per i prodotti alimentari da confezionare in queste vaschette. Poi Conad che distribuiva il prodotto ed Hera per il riciclo. E naturalmente il cliente finale” spiega Augusto Bianchini, referente scientifico del progetto e Professore Associato del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Bologna. “L’obiettivo era fare un ecodesign della vaschetta, cioè ridisegnarla affinchè avesse le prestazioni tecnologiche necessarie [per la conservazione dei cibi], ma anche garantire che fosse completamente riciclabile se riportata in maniera separata. Infatti, se realizziamo una vaschetta “ipertecnologica” con tre tipi di plastica, poi non riusciamo a riciclarla, perché le diverse plastiche sono fuse tra di loro. Il tema alla base del nostro progetto è che questo problema non può essere affrontato coinvolgendo una sola azienda”. Bisogna coinvolgere tutta la filiera.
Oggi, le percentuali di riciclo della plastica sono ancora troppo basse: dal report di Hera Sulle tracce dei rifiuti (di cui abbiamo già parlato qui) emerge che nel 2019 è stato recuperato con la differenziata il 75% della plastica, e solo il 46% è stato riciclato. Il resto viene incenerito, e usato per produrre energia. Un peccato, visto che la plastica è un materiale versatile e costoso: recuperarne di più da usare come materia prima avrebbe vantaggi economici e ambientali.
“Se i progettisti cominciassero a ripensare i prodotti anche in funzione del loro recupero, il sistema già avrebbe un’efficienza completamente diversa”, continua Bianchini. Le vaschette di Ricircola sono state ideate proprio con questa idea in mente: essere un prodotto da cui si può recuperare molta materia prima. “Tecnologicamente, è una difficoltà in più. Grazie all’ecodesign si disegna un prodotto non solo per la sua funzione tecnologica, ma anche per poterlo recuperare”.
Un modello che si sposa bene con il sistema del vuoto a rendere – comune fino a qualche decennio fa, e che ora sta tornando in auge in molti paesi europei non solo per il vetro. Con il vuoto a rendere, infatti, si assicura che la preziosa plastica degli imballaggi non finisca nei rifiuti indifferenziati, o che finisca in un impianto di smaltimento che non è in grado di separarla da altri tipi, meno riciclabili, di plastica.
“È un sistema molto interessante, ma bisogna sempre guardare ai dati. Il vuoto a rendere può essere utile per alcuni materiali, contesti o cifre e non per altri. In alcuni casi può anche essere dannoso. Quando parliamo di sostenibilità non parliamo solo di quella ambientale, ma anche di quella sociale – non lasciando indietro nessuno – e di quella economica. Il sistema deve funzionare anche dal punto di vista del profitto”.
I banchetti informativi del progetto Ricircola nei punti vendita Conad. Fonte: Ricircola – Plastic Waste Free
Un risultato positivo
I dati su questo progetto, per quanto un’esperienza limitata, sono incoraggianti. Spiega Augusto Bianchini: “Siamo passati dal 5% di ritorno [delle vaschette vendute] nella prima settimana a un 25% nell’ultima settimana”, durante la sperimentazione durata due mesi “C’è stato un crescendo costante che, guardando alla bibliografia, è il tasso normale in queste iniziative. In genere nell’arco di un anno si va a regime e si riescono a recuperare circa il 90% delle vaschette”. E a parità di materiale raccolto, il modello circolare di Ricircola ha permesso di aumentare l’efficienza di recupero di materie prime di quasi il 120% rispetto al metodo tradizionale; infatti, la raccolta diretta dei vuoti a rendere aumenta l’efficienza di selezione (abbattendo anche la percentuale di imballaggi usati che finisce negli impianti di termovalorizzazione) e il design intelligente delle vaschette aumenta l’efficienza di riciclo.
Il risultato è anche un abbattimento della produzione di CO2: i ricercatori stimano che con il metodo proposto da Ricircola si produca circa il 40% di anidride carbonica in meno rispetto all’attuale sistema di gestione delle vaschette in PET.
La partecipazione delle persone, però, è stata uno dei risultati che hanno colpito di più i ricercatori. Dal questionario proposto ai consumatori che hanno aderito al progetto (e a cui hanno risposto in 151 su 220 partecipanti), emerge che il 97% sarebbe disposto a riconsegnare abitualmente le vaschette alimentari con il sistema del vuoto a rendere, e l’86% ha affermato che lo farebbe anche gratis o con un rimborso minore di quello previsto dal progetto. “Lo stupore più grande è stato il risultato del questionario che abbiamo fatto, dove molti hanno dichiarato che avrebbero riportato la vaschetta anche senza incentivo economico. Potrebbe essere un segnale utile per tarare una futura campagna su scala più ampia”, racconta Bianchini, che proprio dall’esperienza a contatto con le persone ha un bel ricordo, nonostante il periodo di sperimentazione non sia stato dei più facili. “Dovevamo coprire tutte le ore su tre supermercati: abbiamo assunto alcune persone esterne, ma c’eravamo anche noi ricercatori. Anche se in quel periodo c’era il lockdown, con le persone si instauravano dei dialoghi incredibili”.
Secondo quanto scrive Erik Solheim, capo del dipartimento Ambiente delle Nazioni Unite, nell’introduzione a un rapporto del 2018 sulla plastica monouso, la plastica è “un materiale miracoloso”, che ha aiutato a salvare innumerevoli vite grazie alle applicazioni nel settore medico, e che ha facilitato lo sviluppo di tecnologie per le energie pulite e di sistemi per conservare il cibo in modo sicuro. Ma è anche un materiale che non si merita la poca considerazione che gli diamo oggi, quella di una sostanza a buon mercato e di scarsa qualità. Riportare in voga i sistemi di vuoto a rendere per la plastica, forse, ci aiuterebbe a cambiare mentalità, e a trattare finalmente la plastica come quello che è davvero: un materiale prezioso e versatile, che non deve essere sprecato.
di Anna Violato – formicablu
Anna Violato è una comunicatrice della scienza freelance che vive a Bologna. Collabora con RADAR Magazine, testata online che racconta i cambiamenti del clima e dell’ambiente, con lo studio di comunicazione scientifica formicablu e con la casa editrice Zanichelli.