Il rapporto “Improving the Quality of Walking and Cycling in Cities” riassume i grandi benefici di muoversi a piedi e in bici, ma per ridimensionare il ruolo dell’auto dobbiamo capire come mai pensiamo di non avere alternative all’uso dei mezzi privati
La lezione la conosciamo, o dovremmo conoscerla. Ogni chilometro che facciamo a piedi o in bici, cioè la mobilità attiva, va a beneficio di tutta la società; ogni kilometro percorso in auto comporta invece esternalità negative. Razionalmente, ci dovremmo aspettare che nel mondo la mobilità nelle città segua questo semplice dato di fatto. Basta guardarsi intorno per capire che non è così. Nella grande maggioranza dei casi sono le automobili a dettare lo sviluppo urbano, e ogni piccolo tentativo di andare in una direzione diversa (basta pensare, banalmente, alla città 30) incontra spesso reazioni ostili. A questo proposito spesso si sente dire che “mancano le infrastrutture” (per esempio, le piste ciclabili), ma bisogna riconoscere che questa è solo una parte del problema.
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A questo è dedicato il rapporto Improving the Quality of Walking and Cycling in Cities dell’International Transport Forum, un’organizzazione indipendente all’interno dell’OCSE che si occupa di mobilità. Il rapporto riprende gli argomenti di una tavola rotonda tra esperti del settore organizzata dal Forum a Parigi nel 2022 e, sulla base della letteratura scientifica, fa il punto della situazione e propone alcune linee guida da considerare. Pubblicato lo scorso febbraio, il rapporto è stato presentato dagli autori John P. Pritchard e Philippe Crist.
I benefici della mobilità attiva
Gli studi a riguardo non sono ambigui. Nel complesso la mobilità attiva è una forma di attività fisica, e quindi contribuisce al nostro benessere fisico e mentale. Ne beneficiano soprattutto coloro che hanno uno stile di vita sedentario, ma anche chi già è fisicamente attivo indipendentemente dagli spostamenti. I benefici sono così netti da superare i costi, che derivano in alcuni casi dalla maggiore esposizione agli inquinanti e dagli incidenti stradali.
Ne beneficia anche la società: dal punto di vista energetico camminare è molto più efficiente di qualsiasi altra soluzione per spostarsi in città, bicicletta esclusa. Questo senza dubbio comporta anche minori emissioni climalteranti e meno inquinamento (smog), anche se per rendere sensibile questo beneficio a livello locale (per esempio, riduzione dello smog) occorre che la mobilità attiva sia abbastanza penetrante da ridurre i veicoli in circolazione. Quando si raggiunge una “massa critica” di pedoni e ciclisti possono diminuire anche gli incidenti, sia perché diminuiscono gli spostamenti in auto, sia perché gli automobilisti sono costretti a fare più attenzione.
Ciechi alle auto
Costi e benefici non sono uguali per tutti, spiega però il rapporto. Nonostante il beneficio collettivo, gli studi indicano che alcune fasce di popolazione beneficiano più di altre. Per esempio, nelle fasce socioeconomiche più basse andare a piedi o in bici non è sempre una scelta, e i loro spostamenti sono più rischiosi perché tendono a vivere in aree più inquinate e meno sicure. Questo è un aspetto di cui governi e amministrazioni dovrebbero tenere conto, ma il problema di fondo è che la mobilità attiva riceve molta meno attenzione di quanta meriterebbe guardando questi dati. Gli autori chiamano motonormatività, cioè la nostra tendenza a vedere tutto a misura di automobile.
“Se chiediamo alla maggior parte delle persone di descrivere ciò che vedono guardando una strada e la maggior parte elencherà una serie di cose: altre persone, edifici, attività, alberi, cielo, ma la maggior parte delle persone di età superiore ai cinque anni non noterà o non descriverà consapevolmente il “muro d’acciaio” delle auto, dei furgoni, e dei camion. Occupano gran parte dello spazio pubblico nelle nostre città, ma non vengono registrati nelle nostre menti. Siamo in un certo senso ciechi.”
Allo stesso tempo, quando ci troviamo dietro al volante, e quando pianifichiamo la città, ragioniamo come se vedessimo solo le auto.
In sostanza, l’automobile è un’invenzione utilissima, ma siamo arrivati al punto che non riusciamo nemmeno a immaginare di vivere in una città costruita su misura per questo mezzo. Per molti di noi è del tutto normale, per esempio, fare diversi kilometri per fare la spesa in auto, anche se nello stesso tragitto occupiamo lo spazio che occuperebbero 20 pedoni e 7 biciclette, per non parlare di quando il veicolo è parcheggiato. Senza contare che, ci piaccia o no, guidiamo un mezzo potenzialmente letale, e le prime vittime sono proprio i pedoni e i ciclisti.
Una questione anche di decisioni
Per rompere lo status quo e levarci i paraocchi non bastano le infrastrutture, argomentano i ricercatori. Bisogna capire nel dettaglio perché i diversi individui scelgono o meno un certo modo di spostarsi.
Secondo i ricercatori al momento si è troppo focalizzati sulla realizzazione di nuove infrastrutture, ma bisognerebbe concentrarsi su quelle esistenti migliorandone la qualità. Questo perché l’infrastruttura (per esempio una pista ciclabile) non può da sola garantire che cittadini e pedoni possano muoversi agevolmente. Come detto, c’è chi è costretto per necessità a muoversi a piedi o in bici e non ha il lusso della scelta. Bisognerebbe partire da come rendere i loro viaggi più sicuri e confortevoli, per esempio affrontando i problemi di violenza, sia da parte della criminalità sia da parte della polizia, soprattutto contro donne e minoranze. Se i più fragili possono usare la mobilità attiva per spostarsi in maniera sicura, è più probabile che possa farlo anche il resto della popolazione.
Più in generale, se parti della popolazione si sentono più insicure a muoversi a piedi o in bici, perché temono di essere aggrediti, importunati, o molestati, allora questo problema va affrontato e va affrontato in maniera sistematica,
Anche la sicurezza stradale deve andare oltre le infrastrutture, per quanto fondamentali. La città è costruita intorno alle auto, ma sono queste a uccidere. I media parlano di “incidenti”, ma secondo il rapporto la parola suggerisce che questi siano inevitabili e imprevedibili, ma a livello collettivo non è così perché certe misure (come i limiti di velocità) li riducono. Sarebbe più corretto parlare di scontri (crashes), e concentrarsi su ogni perdita di vita umana invece che sui disagi alla circolazione che ne derivano.
Come uscire dalla motonormatività
Non è facile levarsi i paraocchi, cioè accettare che una città a misura d’auto non è ineluttabile. Il rapporto suggerisce alcune linee che qui riassumiamo.
- Concentrarsi sul miglioramento della qualità (non della quantità) della mobilità attiva nelle città
Cioè, partire dalle esigenze di chi già si muove in bici e a piedi per migliorare le condizioni e attrarre così altri pedoni e ciclisti
- Democratizzare lo spazio di mobilità per garantire che i cittadini possano viaggiare in modo sicuro e protetto in più modi
Tutti i cittadini dovrebbero avere uguali opportunità di servirsi o meno di un mezzo del mezzo privato senza disagi. Oggi il possesso dell’auto, in molti contesti, non è nemmeno un’opzione ma un obbligo imposto dal progetto delle città.
- Incorporare la riduzione della violenza come obiettivo chiave nelle politiche per il trasporto
Tutti i cittadini hanno diritto di spostarsi a piedi senza essere aggrediti, insultati, o molestati. La paura di fare brutti incontri è uno dei tanti fattori che incidono nella nostra scelta di come spostarci.
- Rimuovere le politiche basate sulla “cecità all’auto” per aumentare l’efficacia delle politiche di mobilità attiva
non basta aggiungere opportunità per la modalità attiva, per ribilanciare lo spazio pubblico occorre anche agire per togliere all’automobile il trono della città. Per esempio Parigi dal 2005 al 2020 ha rimosso 20000 posti auto sulla strada e li ha riposizionati in parcheggi dedicati serviti da altre modalità di trasporto.
- Garantire l’accesso a un trasporto pubblico di alta qualità per consentire una migliore pedonalità e ciclabilità
Anche se la maggior parte dei nostri spostamenti sono di pochi chilometri è impensabile vivere la città solo andando a piedi o in bici. Serve un trasporto pubblico che sia accessibile a tutti, anche dal punto di vista economico.
- Disaccoppiare la mobilità attiva per concentrarsi sulle diverse esigenze di pedoni e ciclisti
La mobilità attiva è quella di chi si muove a piedi e in bici, ma ognuna di queste modalità ha le sue peculiarità. Per esempio, chiunque è pedone per una parte del suo tragitto, mentre i ciclisti sono molti di meno. A seconda delle città le due modalità possono avere pesi molto diversi.
- Adattare le soluzioni di mobilità attiva ai contesti locali
Gli esempi virtuosi sono sempre di insegnamento, ma non è detto che siano applicabili ovunque
In conclusione, scrivono gli autori:
“Insomma, non esistono panacee. Le soluzioni dovrebbero essere adattate al contesto locale e non essere importate frammentariamente da altri contesti senza un’attenta considerazione e adattamento. C’è stata una tendenza non guardare oltre le infrastrutture quando si cerca di comprendere o sviluppare politiche di viaggio proattive in tutto il mondo. C’è stata anche la tendenza ad attribuire una superiorità morale alle città o alle culture con livelli elevati di pedoni e ciclisti o, al contrario, attribuire la mancanza la loro mancanza a fallimenti morali. Imparare da altre città, regioni e paesi è essenziale per sviluppare una buona mobilità attiva in tutto il mondo. Tuttavia, i governi dovrebbero evitare approcci top-down e importati soluzioni senza impegno locale. Il significativo coinvolgimento dei cittadini fin dall’inizio è alla base del successo delle politiche di pedonalità e ciclabilità.”
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Immagini: ITF (2024), Improving the Quality of Walking and Cycling in Cities: Summary and
Conclusions, ITF Roundtable Reports, No. 193, OECD Publishing, Paris.
Immagine in apertura: di Louis Lo, pubblico dominio, via Wikimedia commons