Oltre il monouso: si può cambiare l’economia della plastica?

Oltre il #monouso: i modelli del riuso (Quaderni del riuso – Numero 0), pubblicato da ANCI Emilia Romagna, presenta alle amministrazioni un guida per dialogare con le imprese con l’obiettivo di ridurre l’utilizzo della plastica, promuoverne il riuso, e riciclarle secondo i principi dell’economia circolare.


C’è chi risponde allo slogan plastic free dicendo che non possiamo fare a meno della plastica e che basta riciclarla. Il primo punto nessuno lo ha mai messo in dubbio, e la dura realtà è che poche plastiche possono essere riciclate in maniera conveniente. Non solo: il volume prodotto, in ogni caso, supera di molto le nostre capacità. Per questo non deve stupire che solo il 9% della plastica prodotta fino a oggi sia stata riciclata. Il 79% è finito in discarica (o nell’ambiente) e il resto bruciato.

D’altra parte plastic free potrebbe suggerire che basti sostituire il materiale, o magari usare una bioplastica, per risolvere il problema. La sfida è molto più complessa e riguarda ance la dimensione locale. Tra Bologna e Reggio Emilia, per esempio, sorge la cosiddetta Plastic valley, una concentrazione di aziende specializzate in produzione e lavorazione della plastica. È possibile un dialogo tra le amministrazioni e le imprese in grado di promuovere un nuovo modo di produrre e utilizzare l’indispensabile (certo) ma problematica materia?

Per questo ANCI Emilia Romagna ha pubblicato OLTRE IL #MONOUSO: I MODELLI DEL RIUSO. Il documento introduce in italiano l’iniziativa New Plastic Economy sviluppata dalla fondazione Ellen MacArthur. Questa è alla base della rete The Plastics Pact network, a cui aderisce anche l’Italia attraverso il Patto europeo sulla plastica.

 

I principi della New Plastic Economy

La visione della Fondazione, che si concentra sugli imballaggi e le plastiche monouso, si può riassumere così. Il primo passo deve essere l’eliminazione: non tutti gli imballaggi che usiamo sono davvero necessari (overpackaging) e si possono ridurre ripensando il prodotto a monte (ecodesign). Poi, prima del riciclo, deve venire il riutilizzo dell’imballaggio (di plastica o meno). Significa che, in pratica, ovunque possibile il monouso deve essere abbandonato a favore del riuso.

Arriviamo al riciclo: tutti gli imballaggi devono essere riciclabili oppure compostabili, e questo dovrebbe essere il loro ultimo destino. Non devono quindi finire in discarica, né nell’inceneritore. Anche se in questo caso c’è un recupero di energia attraverso la combustione, l’incenerimento non è considerato un obiettivo. La produzione dei nuovi imballaggi dovrebbe inoltre essere disaccoppiata dallo sfruttamento delle risorse naturali. La plastica vergine, realizzata coi combustibili fossili, dovrebbe essere sostituita dal riciclo o da fonti rinnovabili, e dalla produzione al riciclo i processi dovrebbero essere alimentati da energie rinnovabili.

 

Alcuni esempi

Il documento presenta alcuni casi concreti dove sono stati realizzati almeno alcuni punti di questa visione. In alcuni casi la riduzione dell’imballaggio è relativamente semplice e a bassa tecnologia: le lattine delle bibite, per esempio, possono essere incollate fra loro per le confezioni multiple, sostituendo i famosi anelli di plastica. In altri casi la tecnologia aiuta: i prodotti ortofrutticoli possono essere ricoperti da uno spray edibile, invece che da un film di plastica. Per quanto riguarda il riuso esistono diverse strategie dove il consumatore riutilizza lo stesso contenitore riempiendolo ogni volta al negozio, ma è anche possibile restituire i vuoti al negozio, che sono puliti e riutilizzati. In questo aiuta avere un design condiviso dei contenitori, almeno all’interno della stessa marca. Così, una bottiglia che conteneva limonata, al ciclo successivo può essere riempite con un’altra bibita, cambiando solo l’etichetta.

In America latina la Coca-Cola usa una bottiglia della stessa forma per bibite diverse, in modo da facilitare il riutilizzo dopo la raccolta (da Oltre il monouso)

Passando al riciclo, è forse poco noto che la plastica trasparente è quella più semplice da riciclare. I pigmenti contenuti in quelle colorate, infatti, possono essere anche considerate dei contaminanti in un alcuni impianti. Questo vale anche per il pregiato PET, il materiale delle bottigliette di plastica  Per questo motivo alcune aziende sono passate a prodotti trasparenti o traslucidi, abbandonando i colori. Il compostaggio può essere una via per alcuni prodotti monouso, per esempio i piatti compostabili, che possono essere smaltiti nell’umido, a patto che ci sia un’infrastruttura di raccolta che ne garantisca l’effettivo destino. Anche sostituire l’imballaggio può funzionare: un pacco di pasta può essere realizzato in carta, con una finestra trasparente (sempre in carta) che permetta al consumatore di vedere cosa sta comprando.

 

La volontà non basta

Il lavoro della Fondazione è cominciato nel 2016, e nel 2018 ha lanciato il The New Plastics Economy Global Commitment, che riunisce imprese, istituzioni, e associazioni impegnate nel problema.  Nel 2021 ha tirato le somme dell’iniziativa nel rapporto New Plastics Economy Global Commitment 2021 Progress Report e i risultati non sono positivi. Nonostante questa carrellata di esempi che funzionano in diversi paesi e località, il progresso nel complesso è stato minimo. Come riassume il documento ANCI:

  1. il contenuto di materiale riciclato nella fabbricazione di nuovi prodotti si attesta in media al 2,6%
  2. solo il 26% degli imballaggi utilizzati dalle imprese aderenti è almeno teoricamente riciclabile, compostabile o
    riutilizzabile
  3. circa il 76% della plastica eliminata è stata sostituita da altri materiali e solo il 3% è stata eliminata grazie
    all’introduzione di prodotti riutilizzabili/ricaricabili.

Il problema, riconosciuto anche da molte imprese, è che gli impegni assunti volontariamente non sono sufficienti a operare la trasformazione necessaria. Serve un quadro di riferimento internazionale, con obiettivi chiari e impegni vincolanti: un nuovo trattato ambientale. Alla prossima assemblea ambientale dell’Onu, che si terrà a Nairobi, in Kenya, dal  28 febbraio al 2 marzo, dovrebbero cominciare i negoziati per affrontare la crisi della plastica attraverso un accordo.

La strada è comunque in salita. Da poco in Italia è in vigore una legge per limitare le plastiche monouso, ma a differenza della direttiva europea di riferimento prevede molte scappatoie, già notate dalla Commissione Europea. Inoltre giova ricordare il destino della nostra plastic tax. Introdotta con la legge di bilancio del 2020, recependo la direttiva europea, è stata immediatamente osteggiata dalla filiera della plastica, e le voci più forti si levate proprio  dalla nostra Plastic valley. L’applicazione legge è stata ripetutamente prorogata, e non è ancora entrata in vigore. Forse lo sarà nel 2023.

 

Stefano Dalla Casa – formicablu