È online il sito Statistics for the European Green Deal, uno strumento per visualizzare i dati disponibili su 26 indicatori chiave del pacchetto di politiche ambientali dell’Unione Europea. In molti casi il trend è positivo, ma c’è ancora molto da fare per raggiungere gli obiettivi fissati.
Statistics for the European Green Deal permette a chiunque di accedere a una serie di grafici molto chiari che restituiscono il “polso” di un continente che si è impegnato a essere più sostenibile. Permette di esplorare 26 indicatori chiave, raggruppati in 3 aree “riduzione del nostro impatto climatico“; “protezione del pianeta e della salute“, “transizione energetica equa“. Per ogni indicatore sono disponibili i dati a livello comunitario e in molti casi a livello nazionale, aggiornati per lo più al 2020. I grafici generati sul sito, navigabili, sono basati sui dataset dell’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, e sono liberamente accessibili per ogni indicatore.
Accedendo al sito il visitatore ha una visione “a colpo d’occhio” dell’andamento dei progressi a livello di Unione. Il primo indicatore che troviamo è quello più importante, cioè l’andamento delle emissioni, e sembra di assistere a una vera e propria picchiata. Se aggiungiamo alla visualizzazione l’Italia, notiamo che siamo grossomodo in linea con la media Europea. Rispetto all 1990, ora emettiamo “solo” il 66-67%.
L’incertezza sulle emissioni nette, e il tempo che vola
Prima di entusiasmarsi troppo, bisogna ricostruire un po’ di contesto. Innanzitutto parliamo di emissioni “nette”, cioè alle emissioni “lorde” si sottrae il contributo LULUCF (Land Use, Land-Use Change and Forestry). Questo significa che si prova a calcolare quanta anidride carbonica dall’atmosfera finisca nei serbatoi di carbonio (per esempio una foresta). È certo che le foreste e i suoli sono nostri alleati contro il cambio climatico, ma è difficile misurare con esattezza questo contributo. Le emissioni cosiddette lorde, invece, sono certe. L’Italia, senza considerare LULUCF, ha prodotto nel 2020 il 73% delle emissioni rispetto al 1990, non più il 67%.
Gli obiettivi al 2030 si riferiscono però sempre alle emissioni nette, quindi l’Unione Europea ha deciso di includere nel calcolo la compensazione. Anche con questo aiuto, però, siamo ora lontani. L’obiettivo del 2030 è arrivare a -55% di emissioni nette rispetto al 1990, dovremo quindi emettere il 45% di quello che emettevamo 40 anni prima. Se nel 2020 eravamo al 66%, significa che in 10 anni bisogna scendere di una ventina di punti percentuali.
Non è una missione impossibile. In un rapporto del 2021 l’Agenzia Ambientale Europea ha ricordato che il precedente obiettivo 20-20-20 (riduzione del 20% dei gas serra al 2020, rispetto al 1990), è stato abbondantemente superato (-23%). Le proiezioni attuali indicano che nel 2030 arriveremo comunque a -40% di emissioni, con le politiche già adottate. Per raggiungere l’obiettivo serve quindi un passo in più. Al momento è in discussione il set di nuove misure climatiche chiamato Fit for 55, che hanno l’esplicito scopo di trascinare in pochi anni le emissioni a livelli vicini all’obiettivo.
Gli altri indicatori del Green Deal
Il controllo delle emissioni è l’aspetto più importante del Green Deal, ma non è l’unico. Esplorando gli altri indicatori per l’Italia e per l’Europa vediamo altri progressi. Per esempio, la copertura forestale è in crescita, e l’Italia è sopra la media europea per quanto riguarda l’economia circolare; specularmente consuma meno materiali grezzi. In calo anche l’energia consumata a livello residenziale, in Italia in Europa. L’Europa (non ci sono dati italiani) consuma anche meno pesticidi, ma sembra lontana dall’obiettivo di dimezzarli per il 2030 rispetto al periodo 2015-2017, attivamente ostacolato dall’agroindustria.
Altri grafici non sono ugualmente incoraggianti, per esempio continua ad aumentare la produzione di rifiuti, diminuisce l’abbondanza e la diversità degli uccelli, e il trasporto su rotaia sembra stagnante, a parte l’improvviso calo passeggeri dovuto alla pandemia. Il grafico che forse è più preoccupante in prospettiva è quello dei danni economici legati al clima.
Nel 2020 i danni in Europa ammontavano a 12 miliardi, ma sono all’interno di un trend in aumento, che ancora non mostra le perdite economiche dovute alla siccità di quest’anno. Com’è possibile che più cerchiamo di contenere le emissioni, più i cambiamenti climatici causano danni (non solo economici)?
Il paradosso è solo apparente: per evitare parte di questi danni il mondo intero avrebbe dovuto cominciare ad agire prima. Quello che facciamo adesso, se abbastanza incisivo, può evitarci danni molto peggiori nei decenni futuri, ma il clima è già cambiato.
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stefano dalla casa – formicablu