Un rapporto di Italy For Climate indica la strada per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050 a livello regionale: nessuna sorpresa sui dati, ma la conferma che c’è moltissimo lavoro da fare.
Neutralità climatica significa, secondo la guida delle Nazioni Unite, “raggiungere zero emissioni nette di gas serra bilanciando tali emissioni in modo che siano uguali (o inferiori) alle emissioni che vengono rimosse attraverso l’assorbimento naturale del pianeta”. Raggiungere questo obiettivo entro la metà del secolo attuale è una sfida molto impegnativa e per questo motivo le stesse Nazioni Unite, come altri osservatori e attivisti, sottolineano con crescente urgenza la necessità di passare all’azione.
L’Europa, intesa come Commissione Europea, ha indicato la propria roadmap quest’estate, in quella che è passata come alle cronache come l’iniziativa Fit for 55, parte del più ampio Green New Deal: arrivare al 2030 con una riduzione del 55% delle emissioni rispetto ai valori del 1990. Non ancora neutralità, ma un passo importante in quella direzione, che comunque Nebojsa Nakicenovic, economista esperto di energia dell’Istituto internazionale per l’analisi dei sistemi applicati e dell’Università tecnica di Vienna e consulente scientifico dell’Unione Europea, ha definito uno “sforzo erculeo, ma fattibile”.
Leggi l’approfondimento Fit for 55: la roadmap europea per ridurre le emissioni
Recentemente, la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, nata dal finanziamento di un grande numero di aziende che operano in Italia, ha pubblicato attraverso la propria piattaforma Italy for Climate un rapporto sulle regioni italiane. La corsa delle Regioni verso la neutralità climatica 2021, pubblicato in collaborazione con ENEA e ISPRA, è il primo documento di questo genere e vuole fornire una fotografia agile della situazione a livello regionale.
Sei indicatori per venti regioni
“Senza il coinvolgimento delle Regioni”, si legge nel documento, “non sarà possibile centrare gli obiettivi climatici”. Ecco, quindi, sei indicatori che mostrano a che punto siamo. Per ogni regione emerge chiaramente quali sono i settori sui quali è necessario intervenire immediatamente: dalla riduzione delle emissioni di gas serra, all’aumento della porzione di produzione energetica da fonti rinnovabili e un generale contenimento dello spreco di energia.
L’Emilia-Romagna non esce benissimo dall’analisi. È vero che è una delle otto regioni che per produrre energia non utilizza il carbone, considerato la fonte fossile più inquinante. Ed è anche vero che è una delle regioni che dal 2017 al 2019 ha maggiormente ridotto i consumi pro capite di energia. Ma è altrettanto evidente che sul fronte delle emissioni di gas serra i risultati sono al di sotto della media nazionale, sia sul dato annuale riferito al 2019, sia sulla tendenza degli ultimi anni. Inoltre, la percentuale di rinnovabili per la produzione di energia elettrica è ancora troppo bassa: 11% contro il 17% della media nazionale.
Lo stato delle emissioni
Il primo indicatore misura le emissioni di gas serra responsabili del surriscaldamento globale. In questo caso il rapporto ha guardato alle tonnellate di CO2 equivalenti pro capite emesse dalle regioni. Un livello di emissioni pro capite più basso della media nazionale indica una migliore performance climatica, viceversa un livello più alto indica una performance peggiore.
Andando ad analizzare la tendenza del triennio 2017-2019, gli autori del rapporto hanno evidenziato le regioni con la maggiore riduzione delle performance, ma sono considerate negative anche le performance di alcune Regioni che hanno ridotto le emissioni, ma in misura inferiore rispetto alla media nazionale, proprio come l’Emilia-Romagna.
I consumi energetici
Qui le tonnellate equivalenti di petrolio calcolate per singolo residente mostrano chiaramente una differenza tra nord e sud del paese. Proprio le regioni più ricche e industrializzate della Pianura Padana sono quelle in cui i consumi sono più elevati. Anche in questo caso, consumi di energia pro capite più bassi della media nazionale indicano una migliore performance climatica, mentre consumi più alti indicano una performance peggiore.
Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Lazio sono responsabili di oltre metà del PIL nazionale: sono la “locomotiva d’Italia”. Tra queste regioni, sottolinea il rapporto di Italy for Climate, solamente il Lazio si colloca “nella parte alta del ranking, mentre le altre tre Regioni si trovano agli ultimi posti, con appena 1 o 2 indicatori su 6 migliori della media”.
Proprio il loro essere regioni economicamente più sviluppate delle altre dovrebbe significare una maggiore capacità di investimento sulle tecnologie pulite, a partire dalle rinnovabili. “Purtroppo, invece, queste quattro Regioni sono tutte agli ultimi posti per quota di consumi coperti da fonti rinnovabili e nell’ultimo biennio hanno addirittura ridotto i consumi di energia pulita”, sottolineano gli autori.
Ancora troppo poca energia da fonti rinnovabili
Sicuramente le regioni più montuose, come Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige che sono definite “rinnovabilissime” dal rapporto, possono sfruttare gli impianti idroelettrici storici per raggiungere le quote di rinnovabili che sono registrate dal rapporto. Questo comporta comunque almeno due considerazioni. La prima è che quel tipo di impianti ha impatti ambientali comunque importanti: modificazioni del paesaggio e degli ecosistemi in primis, ma non solo. La seconda è che lo spazio per aumentare la quota di idroelettrico è praticamente nullo: gli impianti che erano possibili sono stati già costruiti.
Per questi motivi, gli autori sottolineano l’importanza del contributo di eolico e fotovoltaico nelle tre regioni meridionali più “rinnovabili”: Basilicata, Molise e Calabria.
Sul fronte del fotovoltaico, la regione con più potenza fotovoltaica installata per abitante sono le Marche, con 727 Watt per residente. La media nazionale è 350 Watt. In entrambi i casi la cifra è ancora lontana dalla media nazionale di oltre 1.200 Watt pro capite che, secondo Italy for Climate, sarebbero necessari per rispettare gli impegni climatici al 2030.
di marco boscolo – formicablu