Lo scorso 14 dicembre, la Regione Emilia-Romagna e altri 55 enti – tra comuni ed enti locali, imprese, sindacati, università e associazioni ambientaliste – hanno firmato il Patto per il Lavoro e per il Clima. Un documento che indirizzerà le iniziative della Regione nei prossimi dieci anni, nell’ottica di fare dell’Emilia-Romagna del 2030 una regione più sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
Perché se in Emilia-Romagna alcuni indicatori del benessere, tra cui il PIL pro capite e il tasso di occupazione, sono sopra la media europea, c’è ancora molto lavoro da fare per assicurare uno sviluppo economico che sia equo ed ecologico.
L’attuale crisi legata alla pandemia di COVID-19 ha fatto emergere alcune delle debolezze latenti del sistema emiliano-romagnolo, tra cui la precarietà del lavoro, in particolare delle donne e dei giovani. Anche le difficoltà ad accedere alla rete e alle tecnologie, che in questi mesi sono diventate fondamentali per la didattica a distanza, acuiscono le disuguaglianze sociali e la vulnerabilità di bambini e ragazzi delle famiglie più povere.
Di fronte all’emergenza, la Commissione Europea ha varato il piano Next Generation EU, che stanzierà risorse pari a 750 miliardi di euro per proteggere l’occupazione, ridurre le disuguaglianze e accelerare la transizione ecologica. L’Italia riceverà circa 209 miliardi, che gestirà attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La risposta della regione è il Patto per il Lavoro e per il Clima, che è stato pensato come lo strumento che orienterà le risorse straordinarie disponibili al territorio.
Gli obiettivi e i settori su cui fare leva
Tra le aree strategiche su cui agire, il Patto identifica anche la transizione ecologica (assieme a: conoscenza e saperi; diritti e doveri; lavoro, imprese e opportunità). Gli obiettivi dichiarati sono il raggiungimento della neutralità carbonica – cioè lo zero netto di emissioni di anidride carbonica – prima del 2050 (di fatto un allineamento agli obiettivi posti dall’Unione Europea) e il passaggio al 100% di produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2035.
Nel testo, l’attenzione è alta sugli interventi di mitigazione e adattamento che saranno necessari per far fronte all’impatto già visibile del cambiamento climatico e che potrebbero diventare un motore per lo sviluppo, portando occupazione e innovazione in alcuni settori produttivi.
Ma le linee d’intervento citate sono molte: dall’efficientamento energetico (per esempio sfruttando l’attuale Ecobonus al 110%) alle strategie di rigenerazione urbana per ridurre il consumo di suolo, alla riduzione dei rifiuti pro-capite e al raggiungimento dell’autosufficienza regionale nella gestione dei rifiuti. Si parla anche di incentivare la produzione agricola e zootecnica sostenibile, la diversità delle coltivazioni e l’agricoltura biologica e a basso input (cioè l’agricoltura che fa un uso ridotto di pesticidi e fertilizzanti di sintesi).
Il Patto prevede anche investimenti sulla mobilità sostenibile, con l’obiettivo di ridurre il traffico motorizzato privato di almeno il 20% entro il 2025. Per questo, il Patto propone di rafforzare i trasporti pubblici, promuovere l’uso della bicicletta (realizzando 1000 km di nuove piste ciclabili), potenziare il trasporto su ferro e completare l’elettrificazione della rete regionale, investire sugli interporti e i centri logistici per trasferire il trasporto di merci dai veicoli a gomma alle ferrovie.
E poi piantumare alberi, valorizzare parchi e aree protette, investire nel turismo sostenibile.
Per ora, gli obiettivi e le linee d’intervento del Patto sono solo linee guida, ma saranno alla base di un “Percorso regionale per la neutralità carbonica prima del 2050” che delineerà le strategie d’azione per passare dalla teoria alla pratica, e che definirà i target intermedi e gli strumenti per monitorarne il raggiungimento, con la partecipazione delle associazioni e degli enti che hanno firmato il Patto stesso. Un lavoro che sarà anche alla base di una futura “Legge per il clima” regionale.
Un primo passo, non sufficiente secondo RECAER che non firma
Le critiche al Patto però non sono mancate, anche dalla maggior parte delle stesse associazioni ambientaliste che avevano partecipato ai tavoli di lavoro preliminari – ma che hanno deciso di non firmare il documento. Secondo la Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia-Romagna (RECAER), che raggruppa 70 associazioni del territorio, il documento contiene obiettivi generali condivisibili, ma non è la svolta che sarebbe necessaria per la transizione ecologica e per contrastare il cambiamento climatico per assenza di obiettivi specifici nel breve e lungo termine. Sulla propria pagina Facebook, la Rete si dice disponibile a proseguire i lavori, se ci saranno gli spazi di condivisione adatti, augurandosi che “la Regione Emilia-Romagna accolga l’esigenza di un confronto più costruttivo e partecipativo fra la base ambientalista della popolazione e le istituzioni, attraverso l’inclusione nei tavoli di lavoro che dovranno portare alla definizione dei piani tematici.”
Nelle prossime settimane, su Chiara.eco daremo spazio alle tante e diverse voci che stanno partecipando a questa complessa discussione, per capire meglio i limiti e le possibilità del legame tra sviluppo economico e transizione ecologica.