L’acquaponica: piante e pesci per innovare l’agricoltura

Con le tecniche agricole “fuori suolo” si possono coltivare piante senza consumare terreno, risparmiando acqua e limitando pesticidi o concimi chimici. Queste pratiche innovative sono usate non solo dalle aziende agricole, ma anche dai privati per fare “orti verticali”.

 

La tecnica della coltivazione acquaponica è un sistema di agricoltura fuori suolo che unisce l’allevamento di pesci (acquacoltura) alla coltivazione di piante in acqua (idroponica). La sinergia tra piante, pesci e batteri crea infatti un ecosistema in equilibrio, dove gli scarti dei pesci vengono elaborati dai batteri e trasformati in nutrimento per le piante, le cui radici filtrano l’acqua per fare prosperare i pesci.

Tutto questo ha vari vantaggi: si risparmia il 90% dell’acqua, non si usano pesticidi o concimi chimici, la produzione è più rapida e rigogliosa, si può usare anche in spazi ridotti e in luoghi anche non sfruttabili dall’agricoltura tradizionale. Per capire meglio come funziona questa tecnica innovativa abbiamo fatto qualche domanda a uno dei giovani fondatori di Aquaponic Design, un’azienda che progetta e realizza impianti di acquaponica per privati, scuole e attività commerciali.

Nata nel 2018 dall’idea di tre studenti dell’Università di Bologna appassionati di agricoltura urbana e innovativa, che nel 2021 creano la loro startup e sono: Francesco Lombardo, laureato in Design del Prodotto Industriale, Gian Marco Tamborra e Luca Settanni, laureati rispettivamente in Acquacoltura e Scienze e Tecnologie Agrarie. Ci racconta Lombardo che hanno iniziato con «un canale youtube, dove volevamo divulgare il tema della coltivazione fuori suolo in contesti urbanizzati, per mostrare come le città possono essere più sostenibili usando sistemi naturali, anche in spazi da rigenerare. All’inizio facevamo soprattutto corsi per soggetti privati, mentre ora ci concentriamo di più su consulenza e formazione per creare impianti di gestione per un uso più consapevole dell’acqua».

Due esempi a Bologna: le Serre dei Giardini e i 300 scalini

I ragazzi di Aquaponic Design hanno realizzato il loro primo impianto sperimentale nella splendida cornice delle Serre dei Giardini Margherita a Bologna. Si tratta del cosiddetto “tavolo acquaponico” che integra una vasca artificiale popolata di piante e pesci, delle torri per la coltivazione verticale e un grande tavolo a disposizione del pubblico. «Alle Serre abbiamo fatto vari interventi» dice Lombardo «sempre in collaborazione con la cooperativa Kilowatt che ha in gestione lo spazio, e l’ultimo a cui stiamo lavorando proprio ora è il nuovo progetto che si chiama Serra Madre e verrà inaugurato a metà settembre». Nelle intenzioni degli organizzatori, Serra Madre sarà un luogo aperto al pubblico che ospiterà laboratori didattici, workshop e mostre per promuovere l’“immaginazione ecologica attraverso il dialogo fra l’arte e le scienze”.

Un altro progetto recente del team di Aquaponic Design è stato realizzato sempre a Bologna, ma questa volta siamo nelle prime colline fuori porta. Nel parco del San Pellegrino c’è infatti lo spazio conosciuto come “Ai 300 scalini” dove è stato da poco inaugurato il nuovo impianto per il recupero delle acque piovane nella sede dell’associazione Il Teatro dei Mignoli. Lombardo ci spiega che qui «l’acqua raccolta dalla pioggia viene poi usata per irrigare l’orto oppure nei servizi del bar gestito dall’associazione. E in futuro è prevista un’ulteriore implementazione: una coltivazione acquaponica di erbe aromatiche per ottimizzare ancora di più l’uso delle risorse idriche».

 

Vantaggi e limiti della coltivazione fuori suolo

La coltivazione idroponica è spesso chiamata anche “fuori suolo” perché le piante non assorbono l’acqua e i nutrienti dal terreno, ma da una soluzione nutritiva somministrata spesso in modo automatico. Questa pratica offre molti vantaggi rispetto all’agricoltura tradizionale, infatti come ci racconta Lombardo, ci permette di piantare in «luoghi impossibili da sfruttare con le pratiche agricole tradizionali perché magari sono spazi troppo piccoli, oppure siamo indoor o addirittura su terreni inquinati… Inoltre, grazie a questo tipo di agricoltura si limita il consumo di suolo perché si può ottenere la produzione di un ettaro, cioè 10.000 m2, in soli 100 metri quadrati di coltivazione verticale. Questo permette anche di avvicinare fisicamente la produzione agricola ai consumatori, che spesso vivono lontani dalle aree rurali».

Ma non si risparmia soltanto la risorsa suolo, infatti uno dei punti forti di questa pratica innovativa è «il ciclo chiuso dell’acqua, con cui si riutilizza quasi tutta quella usata per irrigare. Così facendo si riducono al massimo gli sprechi e si ha un risparmio idrico che si aggira intorno al 90%. Inoltre, queste tecniche permettono di diminuire anche l’utilizzo di concimi perché non si disperdono nell’ambiente per dilavamento, questo significa che se ne usano di meno e che non finiscono nelle falde acquifere».

Ma non ci sono solo vantaggi, perché la coltivazione fuori suolo e le altre tecniche agricole innovative hanno anche dei limiti. E qui Lombardo ammette che un grosso problema è la burocrazia, infatti «a oggi è molto difficile aprire un’azienda agricola che sia soltanto “fuori suolo” o in contesto urbano, perché manca una legislazione adeguata». In realtà, aggiunge che «esistono dei nuovi codici ATECO dedicati agli imprenditori agricoli che vogliono innovare le loro pratiche, ma vale solo come aggiunta per aziende “classiche” che fanno anche agricoltura tradizionale. Servirebbe un aggiornamento, o un qualche sistema di certificazione, per riconoscere il valore di queste pratiche agricole che sono davvero sostenibili». Il traguardo è però ancora lontano perché le aziende agricole che sfruttano queste tecniche innovative e virtuose sono ancora troppo poche e dunque non riescono a fare attività di lobbying. Inoltre, sono spesso realtà piccole, che commerciano i loro prodotti soprattutto per vendita diretta e quindi con filiere molto corte.

Non solo aziende agricole… l’orto verticale in terrazzo

Realtà come Aquaponic Design offrono soluzioni per vari soggetti, pubblici e privati, ma pensando al singolo cittadino: che cosa si può fare su un semplice balcone o terrazzo come quelli che abbiamo in città? Francesco Lombardo risponde che «di solito chi si rivolge a noi sono nuclei familiari di 2-4 persone, che vivono in zone urbane o periurbane e vogliono creare un orto sul terrazzo o balcone di casa, oppure in un piccolo giardino. Il desiderio che li muove è di produrre almeno parte del proprio cibo, ma magari non hanno abbastanza spazio per un orto tradizionale (cioè orizzontale), o manca loro il tempo da dedicare alla sua cura, anche se un po’ di competenze serve sempre».

E allora proviamo a dare qualche consiglio pratico, per esempio: quali sono i requisiti minimi per fare un orto verticale in città? «La superficie minima per avere un po’ di soddisfazione – secondo Lombardo – si aggira attorno ai 10 metri quadri, perché per ogni metro lineare si può salire fino a 2 metri d’altezza, e così si possono coltivare circa 60 piante. Inoltre, deve essere esposta bene affinché le piante ricevano luce sufficiente, ma l’unica davvero sconsigliata è l’esposizione a nord».

Un’ultima domanda che facciamo a Lombardo è quali tipi di piante si possono coltivare in questi orti verticali? «Oltre alle classiche erbe aromatiche, come basilico e menta, consigliamo anche gli ortaggi a foglia, come rucola o valeriana. E poi si può variare in base alla stagione: d’estate vanno per la maggiore le fragole e i pomodorini, mentre d’inverno consigliamo i broccoli e vari tipi di insalate e radicchi». Insomma, per gli aspiranti “orticoltori verticali” non resta che armarsi di semi e zappetta e iniziare a coltivare.

 

di Sara Urbani – formicablu

(Immagini e video: www.aquaponicdesign.it)