Il laboratorio sul tetto (verde)

Al dipartimento di Ingegneria in via Terracini, un tetto verde sperimentale aiuta a studiare come contrastare gli effetti del cambiamento climatico

 

Un laboratorio a cielo aperto sul tetto della sede del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Bologna, al Lazzaretto, raccoglie dati utili per capire come affrontare gli effetti della crisi climatica in città. 

L’estate appena finita si è attestata come la più calda di sempre, e l’autunno appena iniziato ha già visto l’arrivo della violenta tempesta Boris che, anche a causa degli effetti delle alte temperature estive, ha causato morti e danni in Europa Centrale.

Per gestire il caldo e le forti piogge, sul tetto di Ingegneria i ricercatori stanno studiando i benefici di una tecnologia basata sulla natura: i tetti verdi. Per farlo, da circa dieci anni conducono esperimenti in un tetto verde sperimentale, raccogliendo dati per capire esattamente i vantaggi di una copertura verde rispetto a un tetto “grigio” tradizionale.

Ne abbiamo parlato con Alessandra Bonoli, Professoressa del Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali. 

“Perché parliamo di un tetto verde sperimentale? Intanto perché è presente una stazione meteo dove possiamo rilevare tutte le condizioni atmosferiche e le caratteristiche meteo, come l’umidità e la velocità dell’aria, riusciamo a quantificare i millimetri di pioggia con sistemi di monitoraggio continuo. È sperimentale anche perché abbiamo realizzato un tetto verde gemello a un normale tetto grigio: parliamo quindi di due tetti identici, di circa 50 metri quadri, posti sullo stesso edificio, che ci permettono di fare tutte le misurazioni sul tetto verde e sul gemello tetto grigio per capire anche le differenze”. 

 

Che cos’è un tetto verde

“Un tetto verde è una tecnologia”, spiega Bonoli. “Non si tratta semplicemente di piantare dei fiori o dell’erba su un tetto”. Con un modello che ormai è consolidato e diffuso in molte città in Europa e nel resto del mondo, un tipico tetto verde è costituito da diverse parti: una coibentazione impermeabile che protegge l’edificio, più strati di materiali con funzioni specifiche, e uno strato esterno – un substrato permeabile con ghiaino, sabbia e altro – su cui si pianta la copertura verde.

Il tetto verde sopra la sede di Ingegneria è composto di due parti: la prima, di 50 metri quadri (quella con il tetto grigio gemello) con una copertura a Sedum, una pianta grassa che resiste bene alle escursioni termiche. Oltre ad adattarsi bene al clima bolognese, ha bisogno di poca manutenzione, perché cresce bassa e non richiede di essere sfalciata. Una seconda zona, di circa 20 metri quadri, ha invece una funzione diversa: è suddivisa in più zone con substrati e piante diverse, per studiare come una variazione nei componenti fondamentali del tetto verde ne modifica il comportamento.

Il primo problema a cui i tetti verdi rispondono è il caldo. Nelle città c’è un aumento di temperatura più forte rispetto alle aree agricole e verdi; un problema in particolare nelle aree urbane fortemente edificate dove cosiddette aree grigie – strade, edifici, marciapiedi – accentuano questo effetto “isola di calore”, soprattutto in estate. Creare nuove aree verdi – ovunque possibile – contrasta questo fenomeno, rendendo le città più vivibili. Ma quanto funzionano?

 

I risultati sperimentali

Il laboratorio sul tetto permette di ottenere dati precisi sui vantaggi di una copertura verde. “Diversi studi sul tema del calore ci hanno portato a confermare che un tetto verde non supera mai i 30-35 gradi, anche nella torrida estate bolognese quando la temperatura dell’aria raggiunge i 40 gradi”, spiega Bonoli. “E quando il tetto grigio gemello, con la sua superficie scura, supera i 70 gradi”.

Questa soluzione al surriscaldamento si traduce in un vantaggio sulla scala urbana, riducendo l’effetto isola di calore: se ci sono tante superfici verdi, la vivibilità di tutta l’area aumenta. Ma c’è un forte vantaggio anche sulla scala del singolo edificio: “andando a misurare le temperature anche all’interno dell’edificio, ci si accorge come la presenza di una superficie verde sul tetto sia favorevole a una maggiore coibentazione e quindi a una riduzione dei consumi energetici sia per il riscaldamento invernale che il raffrescamento estivo”, racconta Alessandra Bonoli. Un vantaggio quindi non solo per il cosiddetto adattamento al cambiamento climatico (la preparazione ai suoi effetti), ma anche per la sua mitigazione, cioè nel tagliare i consumi di energia e dunque le emissioni di gas serra che causano lo stesso riscaldamento globale.

Avere tetti più freschi ha però anche un altro effetto positivo: rendere più efficace la produzione di energia solare. Le temperature molto elevate, infatti, abbassano il rendimento dei pannelli fotovoltaici che producono energia pulita. “La letteratura scientifica ci dice che, sopra la temperatura ideale di funzionamento a circa 25 gradi, c’è una riduzione di un punto percentuale di efficienza ogni 2 °C di surriscaldamento. Quindi se da 25 °C passi a 75 °C – con 50 gradi di surriscaldamento – hai una riduzione del 25 per cento dell’efficienza del pannello”, spiega ancora Bonoli. Un impianto fotovoltaico su un tetto verde, quindi, è un sistema in cui le due tecnologie si aiutano a vicenda.

 

Tetto verde, tetto spugna

L’altro contributo che danno i tetti verdi, che è stato approfondito dal gruppo di ricerca di Bonoli, è quello della gestione delle acque. “Un’area verde si comporta un po’ come una spugna e riduce il rischio di scorrimento superficiale delle acque, in particolare durante gli eventi di pioggia molto concentrati, che ancora una volta vediamo aumentare di frequenza a causa della crisi climatica”, spiega l’ingegnera. Lo scorrimento veloce dell’acqua in superficie (quello che in gergo tecnico viene detto runoff superficiale), facilitato dalla presenza di superfici impermeabili come il cemento, può provocare allagamenti o vere e proprie inondazioni. Ma se il terreno è permeabile e dunque in grado di assorbire l’acqua, anche grazie alla presenza di piante questo problema viene ridotto.

Grazie al tetto verde sperimentale, il gruppo di ricerca ha raccolto dati per studiare questo fenomeno. “Noi abbiamo la possibilità di misurare la quantità d’acqua che arriva sul tetto nell’unità di tempo, e poi come questa viene rilasciata. Abbiamo il confronto tra il tetto grigio – una superficie totalmente impermeabile come sono le nostre strade, marciapiedi, piazzali – che rilascia la quantità d’acqua che arriva immediatamente”, racconta Bonoli. “Un tetto verde si comporta proprio come una spugna che assorbe quell’acqua e la rilascia poi gradualmente. Anzi, c’è anche la possibilità poi di convogliare quell’acqua in un sistema di raccolta per poi usarla quando ce n’è bisogno”.

Ma c’è il rischio che la copertura verde comprometta la tenuta del tetto? Dai risultati ottenuti e dagli altri studi scientifici in merito, il verde sembra invece allungare la vita del tetto, grazie alla protezione aggiuntiva dagli agenti esterni – sole ed escursione termica in primis.

In futuro, il tetto verde di Ingegneria potrebbe arricchirsi di altri esperimenti. “Ora vorremmo continuare gli studi come un tetto verde aiuta nell’assorbimento di inquinanti dall’aria”, racconta Alessandra Bonoli. Con la speranza di vedere questa soluzione diffondersi sui tetti di Bologna.

 

 

di Anna Violato – formicablu

Anna Violato è una comunicatrice della scienza freelance che vive a Bologna. Collabora con testate come Nature Italy, Le Scienze e RADAR Magazine, con lo studio di comunicazione scientifica formicablu e con diverse case editrici.

Foto di copertina: Alessandra Bonoli