Economia circolare: che cos’è e cosa ne pensano gli italiani

Secondo un’indagine promossa dalle associazioni di consumatori i cittadini italiani sembrano sensibili a una nuova cultura della sostenibilità, ma gli ostacoli sono ancora molti.

Il termine “economia circolare” è stato usato per la prima volta nel lontano 1990, ma l’idea alla base circolava nella comunità scientifica dagli anni Sessanta. Da allora gli accademici hanno cercato di dare una definizione rigorosa, e ne esistono diverse versioni. Non è un caso che anche la parola “sostenibilità” e le sue declinazioni siano emerse nello stesso periodo. Ne sentiamo parlare spesso, e sono al centro dell’agenda delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, ma cosa ne pensano i cittadini? 

La buona notizia è che in Italia, secondo l’indagine EURES Economia circolare e consumi sostenibili, promossa da cinque associazioni di consumatori, i temi che sottendono “economia circolare” e “sostenibilità” sarebbero sempre più sentiti dalle famiglie, anche se come al solito c’è parecchia strada da fare.

Che cos’è l’economia circolare?

Facciamo un passo indietro. Lasciando da parte il dibattito sulle definizioni degli addetti ai lavori, potremmo dire che l’economia circolare è un sistema economico che limita al massimo l’estrazione dall’ambiente di materiali per la produzione di energia, beni e servizi e che punta a mantenere nell’economia i materiali presenti per il tempo più lungo possibile prima che diventino un “rifiuto”. 

Con questa parola si intende semplicemente tutto ciò che decidiamo di disfarci perché non ci serve, ma nel contesto dell’economia circolare molto di quello che ora butteremmo dovrebbe rientrare nel sistema economico sotto forma di materia prima secondaria, che non richiede cioè estrazione dall’ambiente.

Viene subito in mente il riciclaggio, e senza dubbio gioca una parte importante, ma l’economia circolare è in realtà un concetto più esteso (forse troppo per alcuni ricercatori). Per esempio, in un’economia circolare l’energia è fornita da fonti rinnovabili, che non richiedono l’estrazione continua di quei combustibili che, una volta bruciati, sono perduti per sempre. Certo, servono molti importanti materiali per costruire un pannello fotovoltaico, ma questi possono essere (in gran parte) prima recuperati e poi riciclati a fine vita. L’economia circolare però dovrebbe cominciare a monte, limitando l’immissione nel sistema di oggetti (e quindi di materiali) destinati a essere rapidamente gettati (per esempio, diverse plastiche monouso), o che non facilmente smontabili e riparabili, prima ancora che riciclabili.

Eliminare gli sprechi (di energia e materiali) significherebbe limitare le emissioni di gas serra, cioè l’unico modo sensato di mitigare i cambiamenti climatici. Ma significherebbe anche, allo stesso tempo, intervenire su molte altre forme di inquinamento: dell’aria, dell’acqua dei suoli. C’è una clausola fondamentale: economia circolare è pur sempre un’economia basata sulla crescita, dove operano “leggi” del mercato fondamentalmente identiche a quelle attuali. La differenza è che la circolarità cancellerebbe una parte delle “esternalità” che oggi sono scaricate sull’ambiente. In questo senso sarebbe un pilastro del cosiddetto “sviluppo sostenibile”, ovvero la creazione di benessere nel presente in modo tale che non comprometta la capacità delle generazioni future di fare altrettanto.

A che punto siamo? Molto lontani

Al momento l’economia circolare è solo un modello, o un’aspirazione, un obiettivo se preferite. Ma anche così non è esente da critiche. In sostanza, oggi è presentata come una soluzione win-win che mette d’accordo tutti, a partire dalle imprese, perché permetterebbe di continuare a consumare riducendo molto l’impatto ambientale. Già questo è discutibile perché la nostra specie non ha e non avrà mai la capacità di creare dei veri sistemi “chiusi”, come quelli che esistono in natura, dove tutto è infinitamente riciclato. Al massimo possiamo prendere esempio. Ma soprattutto già vediamo un’immensa distanza tra le parole e i fatti.

Possiamo infatti elencare migliaia di esempi virtuosi di circolarità, ma di sicuro non c’è nessun cambiamento sistemico in questa direzione. L’80% della nostra energia viene ancora dai combustibili fossili e basta parlare di misure come la “plastic tax” per mettere sul piede di guerra industrie che vogliono essere verdi solo a parole. Nonostante le alte percentuali di riciclaggio dei rifiuti urbani in Italia solo il 18,7% dei materiali della totalità dei materiali “consumati” dall’economia è effettivamente circolare, e siamo tra i primi paesi al mondo. L’Unione Europea si attesta all’11,5%, mentre la circolarità a livello mondiale è oggi appena 8,6%, e sta diminuendo.

La ricerca EURES: ECONOMIA CIRCOLARE E CONSUMI SOSTENIBILI – Comportamenti delle famiglie, criticità ed efficacia della risposta pubblica

Una cosa è certa: se è necessario attuare una vera economia circolare, il supporto dei cittadini, cioè dei consumatori, è fondamentale. In questo senso la ricerca di EURES può essere utile per capire dove intervenire. Si tratta di un’indagine un’indagine campionaria che ha coinvolto oltre 1.100 famiglie: giovani single o coppie o altri nuclei conviventi senza figli (età 18-39 anni), coppie giovani o adulti con figli, famiglie di anziani (soli o coppie di anziani). Le domande si sono concentrate su cinque ambiti: conferimento dei rifiuti; spreco alimentare e alimentazione sostenibile; packaging intelligente, ecolabeling e shrinkflation; mobilità sostenibile; investimenti green e finanza sostenibile.

In linea con altri sondaggi, gli Italiani sono molto attenti ai temi della sostenibilità, che a larga maggioranza considerano emergenziali, e le famiglie più giovani sono tendenzialmente più preoccupate rispetto a quelle anziane. Tuttavia, molti italiani sembrano ancora disinformati rispetto alle cause del cambiamento climatico: solo per il 36% lo attribuisce è totalmente all’influenza dell’uomo. Questa è l’unica risposta corretta, dal momento che il contributo di altri fattori è del tutto trascurabile.

In ogni caso, la grande maggioranza (di nuovo il 78%) ritiene che le istituzioni negli ultimi dieci anni non abbiano dato sufficiente attenzione ai temi della sostenibilità, a partire dal cambiamento climatico. 

 

 

Italiani che riciclano

Nonostante questo le famiglie stanno cercando di fare la loro parte, per esempio molti si impegnano per fare correttamente la differenziata, anche se la metà degli intervistata si lamenta della complessità e della mancanza di infrastrutture, e vorrebbero che il loro sforzo fosse ripagato con degli incentivi tangibili. L’impegno diminuisce quando si passa ad altre pratiche per limitare i rifiuti, come il riutilizzo dei materiali o la modifica delle abitudini di acquisto (per esempio scegliendo prodotti sfusi).

 

 

Un paese a misura di automobile

La mobilità sostenibile è un tema meno sentito dei rifiuti, ma comunque discusso da circa metà delle famiglie. Il sondaggio fotografa quello che ci si aspetta da un Paese costruito a misura di auto (l’Italia ha il più alto numero di vetture in Europa per 1000 abitanti)

Si legge infatti nel rapporto:

“A limitare maggiormente una mobilità “sostenibile” sono principalmente fattori strutturali, legati in primo luogo, secondo 8 famiglie su 10 (il 78,8%) ad un’offerta di trasporti pubblici inadeguata (a tale riguardo occorre segnalare come ben il 50% di queste indichi tale fattore come “molto” ostativo). Al secondo posto tra gli ostacoli individuati dalle famiglie si colloca la necessità di effettuare quotidianamente spostamenti lunghi nel minor tempo possibile (76%), che registra un valore leggermente superiore all’indicazione che fa riferimento ai tempi più lunghi per gli spostamenti con i mezzi pubblici, in bicicletta o a piedi (75,5%) e alla mancanza di infrastrutture e servizi adeguati (71,1%). Il 69,6% riconosce inoltre come fattore ostativo gli elevati costi per adeguare il parco mezzi (attraverso l’acquisto di auto/moto elettrici o ibridi), mentre oltre la metà delle famiglie (il 51,4%) ammette di non voler in ogni caso rinunciare all’automobile (anche per una questione di comodità), e oltre un terzo delle famiglie (il 35,5%) non adotta comportamenti di mobilità sostenibile perché non conosce o non si pone il problema.”

 

Spreco di cibo: possiamo fare meglio

Quando si parla di cibo, invece, le famiglie italiane sono più attive, almeno in apparenza. In particolare dichiarano di essere abituate a fare la spesa in modo oculato, per evitare gli sprechi, e di conservare correttamente i cibi. Preferiamo acquistare frutta di stagione, ma pochi sembrano sensibili al “kilometro zero” o alle “etichette sostenibili”, principalmente a causa dei costi. Ancora meno quelli che riescono a donare l’eccesso. Il rapporto sottolinea che la percentuale stimata di cibo sprecato dalle famiglie è ancora piuttosto alta, in media il 10%. 

 

Il dilemma degli imballaggi

Purtroppo le famiglie italiane non sono tutte informate sul problema degli imballaggi, inclusa la pratica della shrinkflation, lo stratagemma con cui le aziende diminuiscono la quantità di prodotto venduto lasciando inalterato il prezzo. Solo il 30% delle famiglie dichiare di conoscere bene questi temi.

“Cionondimeno – si legge nella ricerca –  il 46,6% dei nuclei familiari sceglie “spesso” o “sempre” confezioni che presentano il miglior rapporto tra quantità di prodotto e imballaggio, valore che scende al 45,3% per quanto riguarda la scelta di imballaggi intelligenti e al 44,9% in riferimento alla scelta di prodotti che presentano etichette informative sulla sostenibilità del prodotto. Per quanto riguarda più specificatamente l’ecosostenibilità del packaging, il 43,3% degli intervistati afferma di scegliere prodotti con imballaggi realizzati con materiali riutilizzabili, riciclati o biodegradabili, risultato che scende al 34,6% per quanto la scelta di sigle ed esercizi commerciali maggiormente attenti alla sostenibilità dei prodotti e al 30,1% in riferimento alla scelta di prodotti con marchio ECOLABEL UE, che certifica un imballaggio a ridotto impatto ambientale.”

Al primo posto tra gli ostacoli alla scelta di imballaggi sostenibili i cittadini mettono i costi.

 

 

La finanza (sostenibile) è poco conosciuta

Tra i cinque ambiti della ricerca, il tema della finanza sostenibile emerge come il meno conosciuto. Solo poco più di un quarto degli italiani dice di sapere esattamente di cosa si tratta. Come spiega il rapporto parliamo di “quella finanza che tiene in considerazione fattori di tipo ambientale (Environmental), sociale (Social) e di governo societario (Governance), i cosiddetti fattori ESG, nel processo decisionale di investimento, indirizzando i capitali verso attività e progetti sostenibili a più lungo termine.”

La ricerca non dichiara se e quante delle famiglie abbiano mai fatto uso di questi prodotti, ma cita un’indagine CONSOB del 2022 da cui emerge che in quell’anno appena l’11% dichiarava di usare questi titoli e di esserne consapevole. 

Come l’indagine CONSOB, però, anche quella di EURES evidenzia che gli italiani si dichiarano orientati a servirsene in futuro.

Va detto che al momento anche il concetto di finanza sostenibile è piuttosto debole, e la ragione è che in realtà non c’è alcun consenso sulle caratteristiche che deve avere un invenstimento che sia veramente “verde”. Il dibattito va avanti da anni, ma mentre moltissimi investimenti sono etichettati come sostenibili (parliamo di oltre 30mila miliardi di dollari, di cui la metà solo in Europa) , ancora non esiste una definizione condivisa né un metodo standardizzato per misurare la sostenibilità. Questo purtroppo apre la porta anche a quelle aziende che intendono usare questi strumenti solo come forma di greenwashing. Per gli italiani, però, l’effettiva sostenibilità di questi prodotti non è al primo posto tra le ragioni che ne ostacolerebbero la scelta. Al primo posto infatti troviamo la scarsa promozione da parte delle banche, seguita dalla generale ignoranza sul tema.

Sostenibilità a parte, l’interpretazione delle risposte a questa parte del sondaggio dovrebbe tenere conto del fatto che l’Italia ha uno dei più bassi livelli di alfabetizzazione finanziaria del mondo.

Secondo EURES, nel complesso la ricerca dimostra che si sta effettivamente affermando una cultura della sostenibilità, soprattutto tra le famiglie giovani. I cittadini conoscono i temi in gioco e molti cercano di fare la propria parte. Ma esistono ostacoli esterni oggettivi, come la mancanza di infrastrutture, servizi e informazioni trasparenti, oltre ai costi che al momento sarebbe necessario sostenere per adeguare i propri comportamenti. 

Le associazioni promotrici (ADOC, Cittadinanzattiva, Federconsumatori, Udicon e UNC) hanno dichiarato:

“Fare la raccolta differenziata, spostarsi a piedi, non sprecare cibo, preferire packaging sostenibili e investire secondo criteri etici, sociali e ambientali non sono solo comportamenti virtuosi, ma veri e propri stili di vita, che i consumatori italiani adottano – o vorrebbero adottare – sempre più, per contribuire in modo significativo alla sostenibilità del nostro Paese. Rispondere a questa crescente esigenza dei consumatori richiede un impegno forte da parte del Governo per accelerare il cambiamento e agevolare la transizione verso modelli di consumo più sostenibili, adottando un approccio sia top down che bottom up: un approccio integrato, che coinvolga sia le Istituzioni e la politica che i singoli consumatori al fine di rimuovere le criticità e affrontare efficacemente le sfide ambientali attuali.”

 

Stefano Dalla Casa – formicablu