Costruire città per tutte e tutti: l’urbanistica di genere

La pianificazione urbana è stata a lungo dominata da una prospettiva maschile, spesso trascurando le esigenze specifiche di donne, bambini, persone anziane e disabili. L’urbanistica di genere invece tiene conto dei diversi bisogni ed esperienze delle persone nell’uso dello spazio pubblico.

Come si fa a creare città più inclusive e sicure? Come si promuove l’uguaglianza di genere anche attraverso il design urbano? A queste domande prova a rispondere l’urbanistica di genere, un metodo di pianificazione urbana che include considerazioni su sicurezza, accessibilità e funzionalità per tutti e tutte, riconoscendo che persone diverse possono avere modi differenti di vivere e muoversi in città, soprattutto se appartenenti a categorie sottorappresentate o marginalizzate.

Per capire meglio di cosa si tratta abbiamo fatto qualche domanda a Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro, cofondatrici dell’associazione Sex and the City, architette e ricercatrici indipendenti in urbanistica di genere. Innanzitutto, abbiamo chiesto loro di provare a spiegarci da dove nasce l’idea di applicare uno sguardo “di genere” all’urbanistica, e per Muzzonigro «i nomi da citare sarebbero tantissimi, ma uno su tutti è sicuramente quello dell’antropologa Jane Jacobs che si è battuta contro i grandi interessi speculativi nelle città americane. Inoltre, ha coniato il concetto dei cosiddetti “occhi sulla strada”, secondo cui a garantire la sicurezza di un luogo è la presenza e il presidio della comunità stessa che mette anche in atto pratiche di mutuo aiuto».

Fin dagli anni Novanta, sono stati pubblicati vari libri sull’urbanistica di genere, ma ultimamente le uscite sembrano essersi moltiplicate, indice forse della maggior sensibilità verso questi temi. Volendo citare uno dei titoli più recenti, Andreola e Muzzonigro segnalano La città femminista – La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini della geografa canadese Leslie Kern (Treccani, 2021).

Uno dei primi esempi italiani di applicazione di questi metodi è l’atlante di genere® che Sex and the City ha realizzato a Milano, e Muzzonigro ci racconta come è andata. «Nel 2020 abbiamo risposto a una call del Comune che voleva interrogare lo spazio urbano milanese secondo le lenti delle minoranze di genere. L’atlante di genere è una mappa della città che può fornire uno strumento all’amministrazione pubblica per migliorare gli spazi, le reti e i servizi cittadini. Ma l’atlante è solo uno dei vari strumenti che si possono usare, per esempio a Milano abbiamo realizzato anche altri progetti specifici, come una camminata esplorativa nel quartiere Niguarda e una campagna di ascolto per analizzare il senso di insicurezza percepito dalla cittadinanza».

 

Da Milano a Bologna

Sempre sull’atlante di genere Andreola aggiunge che si tratta di uno «strumento digitale che può orientare le politiche cittadine, analizzando i punti di forza della città e mostrando le eventuali mancanze. Ma è una metodologia che prescinde dalla città: per esempio a Bologna ne stiamo facendo una versione ridotta rispetto a Milano, concentrandoci sul tema della sicurezza che non riguarda solo l’eventuale paura di vivere lo spazio urbano ma anche il senso di sicurezza sanitaria o abitativa».

Il progetto lanciato dal Comune di Bologna si chiama “Verso un atlante di genere. Prospettive femministe per costruire città sicure” ed è cofinanziato dalla Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con la Città metropolitana e le associazioni Sex and the City, Period Think Tank, Casa delle Donne per non subire violenza e SOS donna. Lo scopo è migliorare la capacità del territorio di individuare e sostenere i segmenti della popolazione femminile a rischio di emarginazione sociale e quindi più esposti a diverse forme di violenza e discriminazione. Inoltre, mira a consolidare il processo di costruzione di spazi pubblici davvero sicuri e plurali, che tengano conto delle esigenze delle diverse persone che li attraversano.

Una delle mappe di genere della città di Bologna.

Alcuni esempi dall’estero

Andreola prosegue portando qualche esempio di città estere che da tempo applicano una lente di genere all’urbanistica, ricordando però che «non esiste una ricetta che sia sempre valida, ma bisogna capire i bisogni specifici delle diverse persone, con un approccio quanto più intersezionale possibile. All’estero sono molte le città che mettono in pratica questi metodi, come Vienna, che da più di trent’anni fa gender mainstreaming». (Il termine gender mainstreaming comprende tutte le strategie messe in campo per raggiungere l’uguaglianza di genere nella società sulla base di strutture, contesti e condizioni paritari sia per le donne che per gli uomini.)

La capitale austriaca è stata infatti pioniera nell’urbanistica di genere fin dagli anni Novanta, integrando questo approccio nella pianificazione urbana. Un esempio è il quartiere di Mariahilf, dove sono stati creati percorsi pedonali più sicuri, spazi pubblici accessibili ed è stata migliorata l’illuminazione. Inoltre, Azzurra Muzzonigro precisa che sempre a Vienna «i parchi pubblici e le aree ricreative sono stati co-progettati attraverso processi partecipativi per capire i bisogni della comunità che attraversa quegli spazi» tenendo conto delle esigenze di tutti i generi e le fasce di età.

Un altro esempio citato da Andreola è quello di Barcellona che «negli ultimi anni ha messo in atto un grande ripensamento dello spazio cittadino secondo i principi dell’urbanistica tattica che prevede più pedonalizzazioni e spazi verdi, e altri progetti non escludenti. Inoltre, Barcellona ha implementato l’idea della “città giocabile” ovvero il tentativo di recuperare lo spazio pubblico affinché sia usato facilmente da bambini e bambine, con playground e spazi immaginifici».

La città catalana ha da tempo adottato una prospettiva di genere nella sua pianificazione urbana anche attraverso il progetto “Superilles” (o superisolati). Si tratta di blocchi di strade chiusi al traffico automobilistico e trasformati in spazi pedonali e ciclabili, che migliorano la sicurezza e la qualità della vita per tutta la cittadinanza, con attenzione particolare a donne, bambini e persone anziane o disabili.

La “balena” del Parc Central a Barcellona.

 

Secondo Florencia Andreola tutte queste pratiche possono rendere gli spazi urbani più sostenibili sia dal punto di vista sociale che ambientale. Infatti «le strategie per rispondere ai bisogni delle donne (che si spostano in città secondo itinerari composti da più tappe concatenate) comprendono spesso una mobilità dolce, ridurre l’uso dell’auto privata e la città di prossimità. Ma anche uno spazio pubblico più piacevole da vivere con un verde più curato, magari dalla stessa comunità che lo usa per costruire reti e relazioni».

L’urbanistica di genere può farci fare dunque un passo fondamentale verso città più giuste e vivibili. Con un approccio consapevole e inclusivo, possiamo costruire spazi urbani che rispondano alle esigenze di tutta la cittadinanza, promuovendo l’uguaglianza e il benessere collettivo.

 

di Sara Urbani – formicablu