Le assemblee partecipative sono uno strumento sempre più importante per il dialogo tra cittadini e amministrazioni. Anche quando si parla di crisi climatica. Ecco qualche esperienza da Germania e Francia
L’esperienza francese: il dibattito pubblico
In Francia il débat public come lo si intende oggi è nato quasi trent’anni fa, nella prima metà degli anni Novanta. Era la risposta alle contestazioni pubbliche attorno al progetto TGV Méditerranée, un progetto per la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità tra Valence, Marsiglia e Nimes. Furono proprio le organizzazioni che si opponevano al progetto a costringere le istituzioni francesi ad aprire un dialogo pubblico, in seguito al quale il progetto si è parzialmente modificato.
Da questa esperienza deriva la legge Barnier del 2 febbraio 1995 che crea la Commissione Nazionale per il Dibattito Pubblico (CNDP). Composta da 25 membri che rappresentano la società civile (sindacati, industriali, associazioni ambientaliste, ecc.) è di fatto un organo terzo che ha proprio il compito di gestire i dibattiti pubblici in Francia. “Il codice dell’ambiente francese non obbliga al dibattito”, scrive Ilaria Casillo nel suo contributo al volume Il dibattito pubblico per infrastrutture utili, snelle e condivise (Rubettino, 2018), ”ma l’obbligo di rivolgersi alla Commissione inviandole il progetto perché si esprima sull’opportunità di procedere con il dibattito pubblico”. Casillo, che è vicepresidente della CNDP, ricorda che fino al 2018 l’organismo è stato interpellata 324 volte e “ha deliberato 94 dibattiti pubblici”.
Dal racconto di Casillo emerge anche una importante differenza con il contesto italiano, almeno sul piano nazionale: il dibattito pubblico, nonostante in Francia sia gestito da un ente indipendente, sul piano giuridico è previsto dal codice ambientale ed è legato al relativo ministero. In Italia, invece, l’interazione tra cittadini e amministrazioni è previsto dal codice degli appalti. Ma, “concentrandosi solamente sulle opere”, spiega Andrea Pillon, esperto di dibattito pubblico e amministratore delegato di Avventura urbana, una realtà che si occupa di processi partecipativi soprattutto in ambito urbanistico, “non c’è l’occasione per deliberare a un livello più alto, di indirizzo delle scelte di sviluppo”. Nel nostro Paese, come sottolinea Pillon, ci sono strumenti a livello locale per organizzare un processo partecipativo, per esempio nel caso delle Regioni, ma è vero che in Italia manca un momento di ascolto generale sui grandi temi dell’ambiente e della sostenibilità.
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In Francia, per esempio, è in corso un importante dibattito pubblico nazionale che riguarda l’agricoltura (Revisione del programma d’azione nazionale sui nitrati). Nel 2019 se ne è concluso uno sul tema del supporto metodologico e missione di consulenza relativa alle consultazioni pubbliche del Ministero della Transizione Ecologica e Inclusiva. E sempre nel 2019 ha iniziato la sua avventura la Convention Citoyenne pour le Climat (Convenzione dei cittadini per il clima), un’assemblea nazionale a cui partecipano 150 cittadini estratti a sorte, e che ha lavorato a 149 proposte presentate al Governo nel giugno dello scorso anno.
Guardare insieme al Paese del futuro
“Sono dibattiti che si fanno o si sono fatti sui programmi e sugli intenti”, dice Pillon, “e per questo sono un grande momento di ascolto pubblico dei territori, in cui tutti possono esprimere le proprie idee e i propri punti di vista”. Il processo del dibattito prevede un’informazione il più possibile oggettiva – in capo alla Commissione – e una relazione finale pubblica, che diventa un documento consultivo importante per gli organi decisori. Non è un documento vincolante, “ma una volta che hai sentito il territorio e tutti gli aventi interessi sul territorio, hai in mano una bussola che è davvero difficile poter ignorare del tutto: degli oltre 90 dibattiti conclusi al 2018”, scrive Casillo, “solo 19 non hanno subito alcuna modifica e solo un progetto è stato abbandonato”. Come a dire che il dibattito pubblico è uno strumento che riesce davvero a essere partecipazione e collaborazione.
L’assemblea sul ruolo della Germania nel mondo
Non hanno valore vincolante nemmeno i risultati delle assemblee partecipative tedesche. La più recente a livello nazionale doveva riguardare il tema della sostenibilità del Paese. Ma è stato ritenuto un tema troppo “divisivo” sul fronte politico, come si dice oggi. “I sostenitori dei partiti di destra avrebbero avuto difficoltà a partecipare”, spiega Thorsten Sterk, il responsabile del sito internet di Bürgerrat, l’associazione dei cittadini che ha promosso l’assemblea nazionale. “Alla fine si è trovato un compromesso domandando ai cittadini quale doveva essere secondo loro il ruolo della Germania nel mondo”. Un tema trasversale, ma che necessariamente ha contenuti sul fronte dell’ambiente e della sostenibilità. In Germania i cittadini scelti per l’assemblea sono stati letteralmente estratti a caso e in totale erano 169.
L’assemblea, che si è chiusa nel 2019, è stata condotta in diversi momenti durante la pandemia. Per questo motivo è stata realizzata completamente online, attraverso una piattaforma di videoconferenza. “Abbiamo avuto qualche problema nel riuscire a includere tutti”, spiega Sterk, “perché il mezzo digitale non era familiare a tutti”. L’associazione ha quindi realizzato una serie di mini-corsi per aiutare i partecipanti a familiarizzare con lo strumento e ha anche fornito una specie di servizio di tutoraggio. “L’importante era che tutti potessero esprimersi, facendo sentire la propria voce”. Il risultato dell’assemblea, dopo quattro giorni di discussione, è stato un documento di 22 raccomandazioni che è stato consegnato al presidente del parlamento. “Ora speriamo che possa avere un peso nelle future elezioni nazionali del prossimo settembre”.
L’assemblea cittadina per clima a Berlino
In Germania esiste anche la possibilità di raccogliere le firme dal basso per richiedere una consultazione pubblica locale. È successo, per esempio, a Berlino nel 2020. “Nel nostro gruppo locale di Klimaneustart Berlin”, racconta Rabea Koss, una delle membre dell’organizzazione, “abbiamo deciso di coinvolgere i cittadini perché l’amministrazione comunale ha ancora come obiettivo la neutralità carbonica nel 2050, ma noi abbiamo bisogno di agire adesso per il clima”. Rabea e gli altri attivisti hanno quindi raccolto le 20 mila firme necessarie per chiedere di organizzare un’assemblea pubblica sul tema, secondo quanto previsto da una speciale legge sulla democrazia diretta a livello locale. Le firme raccolte sono state in realtà oltre 30 mila e l’assemblea approvata a maggio: “ora speriamo di riuscire a realizzarla prima delle elezioni di questo autunno”.
Rabea Koss sta lavorando dietro le quinte anche a Bürgerrat Klima, l’assemblea nazionale iniziata quest’anno sul modello di quella sul ruolo della Germania nel mondo. Il tema stavolta è “discutere come la Germania possa contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C, come promesso con l’accordo di Parigi”, spiega. In totale ci sono 12 sessioni parallele incentrate su quattro aree principali: mobilità, cibo, vita ed energia. “C’è un comitato di scienziati che sostiene i cittadini nella loro ricerca, fornendo feedback sui suggerimenti e verificando i fatti in background. Esiste anche un consiglio formato da membri della società civile e dell’economia, per esempio membri provengono dall’industria automobilistica e dalle ONG ambientali”. Le votazioni dei cittadini su questi temi sono previste per il 23 giugno prossimo e i loro suggerimenti – sempre consultivi – saranno resi pubblici in autunno, portandoli in dote per il prossimo governo. La speranza è di riuscire a influenzare la politica climatica dei prossimi quattro anni.
marco boscolo – formicablu