Bologna sfida la qualità dell’aria – Parte 1

Dai dati alle azioni per scoprire che aria tira in città

Quando si parla di qualità della vita, di benessere dei cittadini e di tutela dell’ambiente, la salubrità dell’aria è un fattore da tenere in estrema considerazione e va affrontato sia attraverso politiche intersettoriali, che attraverso azioni concrete, campagne di informazione e sensibilizzazione e la spiegazione della grande quantità di dati che abbiamo a disposizione.


Come ogni anno, anche questo autunno ci trova pronti all’arrivo di alcuni segnali che ci fanno capire che l’estate è ormai un ricordo più o meno lontano: le foglie degli alberi si preparano a cadere, le vetrine dei negozi sono piene zeppe di cappotti, e l’inseparabile compagna delle serate sul divano è quella coperta rossastra che avevamo stipato nell’armadio a muro. E poi ci sono loro: gli indici della qualità dell’aria che ci impediscono di tirare un bel respiro di sollievo e ci ricordano che ottobre è il mese in cui, oltre alla sagra del tartufo, tornano anche le ormai note misure antismog previste dalla città per migliorare la qualità dell’aria. 

Si tratta di un argomento complesso che riveste primaria importanza, sia a causa degli effetti sanitari che l’inquinamento dell’aria può provocare alla popolazione esposta, sia per le fonti dalle quali dipende: quasi tutte le attività umane, infatti, emettono inquinanti in atmosfera e secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 90% della popolazione mondiale respira aria che non soddisfa le linee guida stilate dalla stessa organizzazione. Questo comporta che, ogni anno, più di 7 milioni e mezzo di persone muoiono, nel mondo, per ragioni collegate alla pessima qualità dell’aria che respiriamo. A livello europeo, nonostante le emissioni di inquinanti siano diminuite in modo sostanziale negli ultimi anni, la qualità dell’aria continua a rappresentare un rischio per la salute umana e per l’ambiente causando circa 400.000 morti premature l’anno e la maggior parte di queste, proprio in ambiente urbano dove l’esposizione agli inquinanti è maggiore. L’Italia con circa 60.000 morti l’anno detiene, insieme alla Germania, il triste primato a livello europeo.

La Pianura Padana: croce e delizia delle politiche per la qualità dell’aria

Questo è tanto più vero se si vive in uno dei luoghi più densamente popolati ed industrializzati d’Europa: la Pianura Padana, un’area in cui si produce più del 50% del PIL nazionale e la cui configurazione geografica, insieme alle caratteristiche meteoclimatiche, favorisce l’accumulo degli inquinanti al suolo. Secondo l’Azienda Sanitaria bolognese (Ausl), infatti, se da una parte la qualità dell’aria negli ultimi anni è migliorata grazie ad una diminuzione delle polveri sottili (PM10 e PM2.5) e del biossido d’azoto (NO2), dall’altra le stime di impatto a lungo termine dell’inquinamento atmosferico sulla nostra salute continuano a preoccupare. Sembra infatti che un bambino nato nel 2017 nel comune di Bologna abbia, in base alla struttura della popolazione e al tasso di mortalità per cause naturali, una speranza di vita di quasi 85 anni di cui ben 6 mesi vengono persi a causa dei livelli di inquinamento da PM2,5 rilevati nell’anno di riferimento. In totale, dunque, secondo quanto si legge nel report dell’Ausl, nel 2017 e nel solo Comune di Bologna,  la somma degli anni di vita persi dalla popolazione complessiva è pari a 126.

Un’altra serie di dati interessanti che emergono dal report dell’Ausl, riguarda gli impatti a breve termine che l’esposizione a PM10, PM2.5, Ozono e Biossido di Azoto hanno sui decessi e sui ricoveri ospedalieri. In particolare, a Bologna nel 2017, se consideriamo 20 μg/m3 come la soglia che non ha effetto sulla salute umana, sarebbero morte 35 persone per cause attribuibili all’esposizione a breve termine a PM10, pari allo 0,76% dei decessi per cause naturali. Per quanto riguarda il PM2.5, con una soglia considerata di “non effetto” pari a 10 μg/m3, vi sono stati 60 decessi mentre il numero dei ricoveri per problemi respiratori o cardiovascolari è stato del 2% e dello 0,95% rispettivamente. Infine, per quanto riguarda Ozono e Biossido di Azoto, con una soglia pari rispettivamente a 70 μg/m3 e 20 μg/m3 i decessi sono stati 24 e 33, mentre i ricoveri legati solo ad NO2 e dovuti all’insorgere di malattie respiratorie, sono stati 106 in un solo anno.

Quanto l’argomento sia complesso e di difficile gestione è ancora più chiaro se si pensa che risolverlo mette in campo l’impegno di tutti, dalle istituzioni ai singoli cittadini, e richiede un  cambiamento radicale a livello sociale, economico e culturale oltre che proveniente da più settori e livelli. Il traffico veicolare, ad esempio, è al centro del problema nei nuclei urbani ma chiedere alle persone di rinunciare a muoversi in auto o in motorino, così come chiedere ad un Comune di agire sulla mobilità sia a livello di politiche che di infrastrutture, non è impresa facile nemmeno in quei luoghi dove sia le istituzioni che i cittadini si dichiarano favorevoli ad intraprendere un cambiamento all’insegna della sostenibilità e del miglioramento della situazione climatica e ambientale.

E’ il caso, ad esempio, del Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS) della Città metropolitana di Bologna, che ha previsto un contributo rilevante, all’interno di un processo partecipativo, di stakeholder e cittadini sia nella fase di definizione degli obiettivi che delle scelte operative. L’obiettivo principe del PUMS è ridurre le emissioni da traffico motorizzato del 40% al 2030 e rispetto ai livelli del 1990, così come proposto dall’Unione Europea per garantire il rispetto degli Accordi sul Clima di Parigi. Tale riduzione potrà essere raggiunta attraverso una riduzione del 28% del traffico motorizzato privato e la decarbonizzazione del 12% del parco veicolare privato.

Allargando lo spettro di indagine a livello regionale, poi, scopriamo che, oltre al traffico, contribuiscono all’inquinamento anche la combustione non industriale (comprendente il riscaldamento domestico e commerciale) – responsabile del 57% di PM10 di cui il 99% da impianti domestici a biomassa – agricoltura e allevamento – a cui sono imputabili l’emissione del 98% di ammoniaca (NH3) e del 45% di metano (CH4) – e infine le industrie – che emettono ossidi di azoto e biossido di zolfo.

“Che aria è”: una App per capire la qualità dell’aria e agire per migliorarla

Come riporta il decalogo sul rapporto tra Aria e Salute promosso da Fondazione per l’Innovazione Urbana, Comune di Bologna, Città metropolitana di Bologna, Azienda Usl di Bologna, Arpae, Istituto Ramazzini, gli spostamenti in auto esporrebbero maggiormente all’inquinamento rispetto a quelli a piedi o in bicicletta. 

E questo è solo uno dei consigli che è possibile ricevere consultando la App “Che Aria è, nata allo scopo di fornire un’informazione sistematica e semplificata sullo stato della qualità dell’aria di Bologna, incentivano allo stesso tempo tutti a mettere in pratica comportamenti che riducano l’impatto e i rischi per la salute. Consultando la App, o leggendo il decalogo, scopriremmo poi che “In Europa, il costo dovuto alle giornate di lavoro perse a causa di malattie legate all’inquinamento dell’aria è pari a quasi 16 miliardi di euro”, oppure che anche per la guida esiste uno “stile ecologico”: basta mantenere una velocità uniforme e moderata ed evita le brusche frenate e le forti accelerazioni, riducendo così consumi ed emissioni. Insomma, ancora una volta, aiutare l’ambiente aiuta anche l’economia, sia essa domestica o globale.

La App “Che aria è” è pensata per essere accessibile anche da web ed essere inserita gratuitamente in qualsiasi sito, sia nella sua versione light – ossia con il solo nome – che nella versione completa, con dati e frasi informative, proprio come nella Homepage di Chiara.eco.

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Valeria Barbi – Fondazione Innovazione Urbana

Valeria si occupa di cambiamenti climatici e sostenibilità, dapprima nell’ambito della ricerca e dello studio delle politiche, e poi degli impatti sugli ecosistemi e l’ambiente urbano. E’ divulgatrice scientifica e, per la Fondazione, coordina i progetti europei e collabora al progetto editoriale Chiara.eco